Alec Ounsworth

Mo Beauty

2009 (Anti)
songwriter, roots

Fa un certo effetto, decisamente, incontrare Alec Ounsworth seduto in disparte in uno dei tavoli del diner di fiducia. Uno dei principali interpreti della scena nu-new wave di New York di pochi anni fa, vestito da Huckleberry Finn, da hobo, quei personaggi semivagabondi della provincia americana col cappello di paglia e i pantaloni che arrivano appena sopra la caviglia. Difficile resistere alla tentazione di sedersi accanto a lui, per sentire la storia che ha da raccontare. L'album d'esordio, omonimo, dei Clap Your Hands, Say Yeah! rimane, se non un caposaldo, perlomeno uno degli episodi di maggior successo proveniente dalla scena pop-wave di questo decennio, che si avvia a una fine piena di interrogativi esistenziali. Questi ultimi paiono assillare anche lo spirito creativo di Alec che, in una sorta di raptus compulsivo, si appresta a mettere sul mercato due album in contemporanea (l'altro col gruppo dei "Flashy Python").

Buttando a mare scrupoli di anticlimax, si può dire con tranquillità che qui i risultati sono ondivaghi dal punto di vista delle canzoni, nelle quali il tocco melodico rivelatosi con la sua precedente band stenta a farsi riconoscere, pur nell'esecuzione accademica dei brani (nel senso più nobile del termine). Rimane, com'è ovvio, il marchio di fabbrica dei suoi affascinanti latrati, unito a un lavoro notevole sulla produzione e gli arrangiamenti. Questi ultimi, infatti, sono stati affidati a mostri sacri del panorama jazz di New Orleans (si veda "Idiots In The Rain"), dove l'album è stato registrato (George Porter Jr. dei "Meters", Stanton Moore dei "Galactic", Robert Walter dei "Greyboy Allstars" e Al "Carnival Time" Johnson). Impronta sudista ben impressa in "Mo Beauty", di conseguenza: dal blues-rock di "Me And You, Watson" allo spiritual di "Holy, Holy, Holy Moses (Song For New Orleans)".

Si diceva delle canzoni: ce n'è per tutti i gusti, in "Mo Beauty", ma bisogna un po' saltabeccare qua e là per raccogliere le primizie, all'interno dei brani, che sanno aiutare a spiccare un qualche slancio emotivo. Permettendosi un divertissement un po' irriverente, si può provare a mettere insieme i momenti più felici del disco, sminuzzandolo fino a mettere insieme il proprio Mostro shelleyano: il sapore struggente, il soffuso romanticismo di "What Fun" e "When You've No Eyes", gli stemperati intermezzi strumentali di "Holy, Holy, Holy Moses (Song For New Orleans)", l'esuberanza delle mareggiate batteristiche, solcate dal vento colorato di "Obscene Queen Bee #2". E' con questa miscela che si ottiene l'anima più ispirata del disco, che per il resto si nasconde dietro l'abilità dei musicisti, lasciando a loro la scena ma rinunciando a offrire qualcosa di concreto all'ascoltatore. Emergono così episodi banalotti ("South Philadelphia (Drug Days)", "Me And You, Watson") e altri in cui la capziosità, per non dire inconsistenza, melodica è sapientemente mascherata, come al solito ("Modern Girl (...With Scissors)").

Il vagabondaggio musicale pare essere il filo rosso di questo "Mo Beauty": non ce la fa Ounsworth a occultare del tutto le sue ascendenze, siano queste gli echi dei Bunnymen (scusate l'involontario gioco di parole), reinterpretati da Destroyer, di "That Is Not My Home(After Bruegel)", o la strisciante ombra di Waits ("Idiots In The Rain").
Per fortuna sua, New Orleans e l'ultimo, languido dimenarsi del Grande Fiume fanno di tutto per tenere insieme un disco che però dà l'impressione di non riuscire mai, pur nell'eleganza, a fornire un appiglio all'ascoltatore.

19/10/2009

Tracklist

  1. Modern Girl (...With Scissors)
  2. Bones In The Grave
  3. Holy, Holy, Holy Moses (song for New Orleans)
  4. That Is Not My Home (After Bruegel)
  5. Idiots In The Rain
  6. South Philadelphia (Drug Days)
  7. What Fun
  8. Me and You, Watson
  9. Obscene Queen Bee #2
  10. When You've No Eyes