Quando cinque anni fa Michael Metiver scorse, in un sogno, la (non)parola oweihops collegandola, chissà per quale motivo, al canto della cinciallegra, suo volatile preferito e simbolo del Massachusetts, suo stato d'origine, decise che non avrebbe potuto trovare un alias migliore dietro il quale nascondersi per incidere la propria musica.
Da quel giorno Metiver ha pubblicato un album e un Ep ("Cinquefoil") autoprodotti aumentando, grazie al passaparola degli appassionati e dei blog, di giorno in giorno i suoi ascoltatori e la sua fama di culto.
"Viburnum" è il primo album che Michael è riuscito a registrare con un vero produttore (Matt Hebert), con una band e, finalmente, con qualche fondo in più: grazie a questi elementi quello che era un progetto poco più che amatoriale ha preso forma dando finalmente corpo e compiutezza alle composizioni dell'artista americano.
Arricchita dal suono del violoncello e da una strumentazione varia e corposa che comprende percussioni, glockenspiel ed elettronica varia (seppur usata con estrema misura e parsimonia), quella che lo stesso artista definisce "non-linear colonial folk music for birdwatchers" riesce, soprattutto per merito delle ottime doti compositive del suo autore, a suonare personale e autentica.
Così come il viburnum è una pianta sempreverde molto diffusa nei giardini grazie alla facilità di coltivazione e che produce decorative bacche, che rimangono sulla pianta a lungo, allo stesso modo le dieci canzoni di "Viburnum" crescono semplici e fiorite e restano a lungo impresse nella mente. Nella vena dei migliori esponenti dell'alt. country quali Will Oldham, Jason Molina o Elephant Micah, la musica di Oweihops suona a tratti al di fuori del tempo: una musica che c'è sempre stata, conosciuta e amata, calda, rassicurante e onesta.
Rurali e fortemente legati al territorio, i brani che compongono l'album sono pieni di richiami alla natura ("The dark and raising waters/ Little yellow leaves"), e immersi in un New England forse mitico, ma in nessun caso agiografico ("Let's get a dog and We'll walk the woods/ the old brick scars of these neighborhoods/ before the ice chokes the river good...").
Metiver richiede che l'ascoltatore si relazioni con i sentimenti e le emozioni contenute nella sua musica senza, però, forzare tale relazione: l'empatia deve sorgere spontanea. L'iniziale "Proximity" è emblematica in tal senso: "Did you fall with everyone you'd meet?/ Well that sound just like me" canta Michael e, con poche semplici parole, si è immediatamente catapultati in un'atmosfera intima e confidenziale.
Il calore del violoncello, poi, regala, come nella umbratile "These Passerines" (ancora una volta un titolo legato alla natura), o nella più cupa e solenne "In The Weeds", lunghi brividi lungo la schiena.
Nulla di nuovo sotto il sole, senza dubbio. E lungi da Michel Metiver l'idea di creare qualcosa di innovativo o originale.
L'artista di Pioneer Valley, Massachusetts, è solamente, in un mondo di stilisti "prime donne" capricciose ed egocentriche, un onesto artigiano, un sarto della canzone d'autore. Quello cui ci si rivolge con la sicurezza che riuscirà a cucirti addosso l'abito perfetto, tessuto utilizzando la sincerità come trama e il sentimento come ordito. Quell'abito che ti farà sentire talmente a tuo agio da volerlo portare ogni giorno, lasciando i vestiti di griffe dal nome altisonante a prendere polvere nell'armadio.
22/12/2009