Il violoncello ha sempre ostentato un ruolo ambizioso nel rock, pur se legato al suo retaggio classico, ha spesso offerto spunti d’originalità ai musicisti più ambiziosi e attenti.
Che un gruppo di violoncellisti dotati di tecnica e gusto approcci il moderno mondo del rock indipendente non è quindi una sorpresa.
Sedici violoncelli per un progetto che contamina il cantautorato indie con sprazzi di Classica e citazioni colte, nel difficile intento di rendere poetico e sublime un repertorio ordinario, ma comunque gradevole, ecco cosa è “The Thao & Justin Power Sessions” il nuovo progetto dei Portland Cello Project.
L’ensemble non rinuncia alla seriosità della musica classica, cercando nei vari strumentali di assorbire al meglio varie influenze, si va dal classico contemporaneo in “The Lamb” a strani ibridi indie-classic come “Turkish Wine”, ma la grinta e l’azzardo che accompagna la rilettura di “Mouth For War” dei Pantera regala le migliori intuizioni ritmiche del disco: pur eccedendo in virtuosismo, il risultato non dispiace, resta invero preferibile alla noiosa rilettura del tango di Cabrel “Por Una Cabeza”.
Quello che rende “The Thao & Justin Power Sessions” interessante è il suo incontro con due artefici di bozzetti poetici sonori del mondo indie: Thao offre subito esempio del suo talento con “Beat”, che sembra possedere la forza per travalicare la soglia della prevedibilità con armonie energiche, suoni grezzi di chitarra e contrappunti sonori deliziosi, la sintesi pop più riuscita dell’album, ma anche “Tallymarks” scivola con sicurezza, mentre “Violet” svolazza con leggerezza su note sbarazzine e festose, regalando la miglior performance dell’album, con l’ensemble che s’impadronisce del finale regalando inedite soluzioni strumentali.
La magia di alcuni momenti si infrange su soluzioni eccessive che rendono spesso alcuni brani precedibili e scolastici, non solo alcuni degli strumentali succitati, ma anche alcune canzoni realizzate con Justin Power.
La sintesi funziona di nuovo egregiamente in “Hungry Liars” dove la voce e il violoncello non si annullano e realizzano una perfetta alchimia con il cantato malinconico e spensierato di Justin, ma in “Cut The Rope” l’incontro non produce lo stesso effetto, scivolando su toni criptici e noiosi.
“Seeds May Fall” regala qualche brivido in più, ma sottolinea la mancanza di sinergia tra J.P. e i Portland Cello Project, e bisogna attendere il finale per riagguantare un brivido e un po’ di poesia: la malinconia di “Travel” conforta e conferma che “The Thao & Justin Power Sessions” non rende merito alla caratura di tutti i personaggi coinvolti nel progetto, la disomogeneità era prevedibile in virtù delle differenti session di registrazione, ma il tutto resta a tratti fastidioso e poco originale, qualche spunto rimarchevole e poco più, per un insolito e inconsueto album.
22/10/2009