Chitarra, violino, loop-pedals e pochissimo altro è lo scarno arsenale con cui il paesaggista inglese dà vita alle sue introspettive e autunnali impressioni, e la povertà di mezzi esalta l'ascetica e fluente grandiosità della sua musica, di cui "Landings" è per l'appunto l'approdo, il compimento. Un uomo solo in una brughiera mossa dal vento, incorniciato dalle sagome di alberi spogli, natura di cui Skelton sembra saper cogliere la voce antica e recondita, una voce sulla quale lasciar scorrere la propria più intima ispirazione, annullandovi se stesso e quel remoto eppure pressante senso di perdita, dolore e solitudine che grava costante sulla sua musica (l'intera vicenda artistica di Richard Skelton si situa all'indomani della precoce scomparsa della moglie Louise).
Una musica che rende "visibile" e tangibile un mondo fatto di sensazioni celate in chiaroscuro, stratificazioni acustiche che penetrano la mente con una forza e una naturalezza che hanno pochi eguali. Musica di vibrante e incontaminata intensità, priva di qualsiasi velleità intellettuale o accademica, "Landings" è il soffio vitale che spira dall'essenza più pura dell'anima, un viaggio nel cuore delle cose più semplici e vere, un mistero che si svela in un senso eterno di abbandono, conforto e sollievo.
(16/01/2010)