Come ormai d'abitudine, i Clientele tornano a riempire l'intervallo tra due album in studio con un'opera più breve ma, anche stavolta, niente affatto interlocutoria. Nelle passate occasioni è avvento, infatti, che i momenti di transizione della band inglese siano stati contrassegnati da Ep e mini album che lasciavano intravedere imminenti cambiamenti, ovvero volgevano lo sguardo alle inconfondibili melodie uggiose in bassa fedeltà dei loro esordi.
Anche nel caso di "Minotaur", lavoro che con i suoi circa ventisette minuti di durata risulta assai più corposo del trittico di Ep pubblicati negli anni da parte dei Clientele sull'etichetta spagnola Acuarela, il menù è goloso e stuzzicante.
Benché tutto il mini album sia stato concepito e registrato durante la lavorazione dell'ultimo lavoro della band "Bonfires On The Heath" (dal quale lo separa meno di un anno), i Clientele, in ottimo stato di forma, presentano un lotto di brani che sarebbe davvero errato considerare alla stregua di semplici outtakes dal disco precedente.
Anche questo lavoro, infatti, non smentisce affatto il modo di relazionarsi alla musica da parte di Alasdair MacLean e soci, da sempre improntato alla genuina voglia di regalare all'ascoltatore piacevolezze assortite e pop songs (con tanto pi ed esse maiuscole!) di valore assoluto. E così anche gli otto brani di "Minotaur" (tra i quali uno spoken word lungo e spettrale, "The Green Man") dimostrano una cristallina vena pop, che materializza a più riprese l'incanto delle opere giovanili, attraverso una discreta varietà di soluzioni strumentali, intrise di raffinatezza vintage, e istantanee di strade umide e solitudini cittadine, ormai ricorrenti nella poetica e nell'immaginario della band inglese.
Sotto un certo aspetto, addirittura, il pur breve "Minotaur" potrebbe rappresentare una sorta di summa o di breve sunto della fulgida carriera dei Clientele: ogni brano ha una propria personalità e si riallaccia, senza alcun timore reverenziale, alle precedenti offerte della band dell'Hampshire.
Se l'apertura, con la title track, è un evidente e ideale proseguimento della morbida poetica crepuscolare di "Bonfires On The Heath", già "Jerry" - nella quale spuntano, circondate dai colori tenui e dalle soavi cadenze tipiche dei Clientele, chitarre abrasive e poco manierate - sembra un deciso passo laterale verso un suono più sporco che, seppur decisamente meno lo-fi, è diretto debitore delle prime, indimenticabili, prove della band.
Tale volontà di un ritorno, seppur parziale, al passato, è evidente anche nella scelta della cover di "As The World Rises And Falls", dell'oscura band psichedelica americana The West Coast Pop Art Experimental Band, qui abilmente riproposta con cadenze più limpide, che, tuttavia, non ne cancellano l'andamento di continua alternanza tra il sonno e la veglia.
"Paul Verlaine", poi, sin dal titolo e grazie all'incedere armonico sghembo e surreale, si allaccia a doppio filo alle squisitezze dolcemente psichedeliche di "Strange Geometry", mentre "Strange Town" (insieme al breve interludio pianistico "No.33") non fatica a riportare alla mente le polaroid sbiadite e le ugge di "The Violet Hour". In chiusura, il ritorno al pop con "Nothing Here Is What It Seems", che non avrebbe affatto sfigurato in "God Save The Clientele", album colmo di melodie brillanti e nostalgiche, riconosciuto come il lavoro più accessibile della band.
Anche questa volta, insomma, sebbene la confezione sia più ridotta, i Clientele riescono nel non facile intento di regalare nuovi brani suggestivi e ammalianti, sempre in bilico tra il pop e la psichedelica più delicata, aggiungendo un nuovo tassello a quella che sembra sempre di più una carriera del tutto priva di sbavature e cadute di tono.
09/11/2010