Ancora un disco di Jack Rose, ora che Jack Rose non c’è più, passato improvvisamente a miglior vita all’inizio dello scorso dicembre.
“Luck In The Valley” è il suo decimo lavoro e va a completare la “Ditch Trilogy” (dedicata alla riscoperta delle radici della musica folk americana) iniziata con opere quali “Dr. Ragtime And Pals” e “Jack Rose And The Black Twig Pickers". Quello di Rose è uno sguardo sincero, mai sopra le righe. Uno sguardo fatto di passione e di dedizione assoluta alla causa. Ma che ci sia poco o niente di realmente nuovo in queste dieci composizioni sembra innegabile, anche se, si sa, la morte tende sempre un po' a distorcere la realtà dei fatti...
In ogni caso, “Luck In The Valley” è un disco che piacerà soprattutto agli appassionati, a quelli che da sempre seguono il musicista americano. Nato artisticamente all'ombra dei grandi maestri dell’american primitive guitar, l’uomo, che ha guidato anche quella formidabile formazione che risponde al nome di Pelt, trova nel fingerpicking un mezzo per esplorare blues, country, hillbilly e ragtime, senza smuovere granché le acque ma, altresì, limitandosi a offrire una panoramica filologicamente “corretta”, seppur mediata da uno stile riconoscibilissimo, insieme lirico e vibrante, scintillante e commosso.
Sfilano, quindi, numeri come lo stomp scalcinato di “Everybody Ought To Pray Sometime”, le dodici battute di “West Coast Blues” e “Saint Louis Blues” (ciondolante il primo, sornione il secondo), il bluegrass-western gaio di “Lick Mountain Ramble” e il ragtime di “When Tailgate Drops, The Bullshit Stops”.
Un ascolto rilassante, estremamente piacevole, ma tutt’altro che fondamentale. Jack ci mancherà, ma non è questo il disco che lo farà rimpiangere.
08/02/2010