Quazi-punk-free-jazz: è questa la definizione che gli Tsigoti hanno scelto per la loro musica. Una musica che parla la lingua dell’antimilitarismo e disprezza ogni regime, politico o religioso, assumendo le sue posizioni dietro il velo nevrotico e dissacratorio di un sound polimorfo, essenzialmente figlio delle esperienze più eccentriche della new-(no)wave. Spigolosità e lirismo, dunque, per Thollem McDonas (beat-up piano, voce), Andy Cap (Andrea Caprara) (batteria), Ben Itchy (Matteo Bennici) (basso) e Jack Andrews (Jacopo Andreini) (chitarra elettrica), qui sostenuti nel loro sforzo da un numeroso coro di amici e da alcuni artisti italiani, tra cui Edoardo Ricci (sassofoni), Samuele Venturin (accordion) e Francesco di Mauro (bajan).
“Private Poverty Speaks To The People Of The Party” (che segue il già interessante e più claustrofobico “The Brutal Reality of Modern Brutality”, uscito a nome Waristerror Terroriswar) è opera scoppiettante e intellettuale, beffarda e solenne nel suo insistito e rocambolesco dimenarsi tra estremi apparentemente inconciliabili. Con divertita nonchalance, scorrazzano tra jazz-punk, olezzi folcloristici e gazzarre arty (“With A Mirror And A Magnifying Glass”), si districano tra contrappunti e cianfrusaglie pianistiche (con festose punte di ragtime), nelle quali ispide perifrasi di sax e un piglio dissacratorio che viene da lontano (Pere Ubu…) ricalibrano il tiro su pulsioni “negative” (“Children Slaves Make Childrens Toys”) coniugando, altrove, tragicomica austerità e cabaret Zappiano (“This Is A Simplified Response...”, con un lavoro chitarristico non lontano dalle sbilenche protervie della coppia Zoot Horn Rollo/Antennae Jimmy Semens).
Esuberante e indomito, mai banale, il disco mostra dei musicisti in stato di grazia, capaci anche di abbandonarsi all’improvvisazione pura e semplice se necessario. Accanto alle tirate strumentali di “They Make Them For They” e “The Sickofwar Traine” (quest’ultima, con sei corde spiritata, piano scoppiettante e lunga coda di voci farneticanti), sfilano numeri effervescenti, come i Minutemen virati rock-in-opposition di “(Yes) The Border” Crossed Us”, la sgangherata fanfara free-jazz di “(Can) Don't Sleep Through This”, i fuochi psichedelici in corsa di “I May Not Get There With You” o la romanza pianistica destrutturata di “Dust To People To Ashes”.
All’inizio di “(We?) This Is The Days Of Your Life”, la fisarmonica parla finanche la lingua sensuale del tango, ma è solo un modo come un altro per rompere lo specchio delle illusioni e lanciarsi verso l'ennesimo declivio stilistico, con punte di vizioso esistenzialismo in “(We) Would You If You Could?”, un baratro dietro l’angolo, la paranoia di un “Dub Housing” fratturato...
Applausi.
04/08/2010