Il 2011 è stato l'anno di Alicia Merz e l'inverno è la sua stagione. Due album a nome del suo progetto personale Birds Of Passage e uno in collaborazione con Leonardo Rosado ("Dear And Unfamiliar") nel volgere di meno di dodici mesi, una peculiare sensibilità da drone-writer intensa ed eterea e l'intimo immaginario della sua musica l'hanno rapidamente elevata allo status di vero e proprio culto.
Non poteva dunque essere altro che la stagione più fredda e oscura dell'anno quella deputata a suggellare l'incredibile annata dell'artista neozelandese, con un disco che la incorona signora di un inverno climatico, dal quale rifugiarsi in isolamento dal mondo esterno, ma anche di un inverno interiore, da affrontare in solitudine, senza rifuggire un'introspezione niente affatto edulcorata, anzi talora assai aspra.
Più articolato e rifinito del diretto predecessore, il superlativo "Without The World", "Winter Lady" ripresenta un'Alicia Merz altrettanto riflessiva, la cui poetica, densa di metafore, trova margine espressivo più ampio in brani dalla durata media più lunga e funzionale a un'intersezione tra piani sonori, esaltata da una produzione leggermente più "pulita".
È come se l'acuminata presa diretta in bassa fedeltà del primo lavoro avesse parzialmente lasciato il campo a un percorso umano ed espressivo che, filtrando l'istinto attraverso la razionalità, ha condotto l'artista a una maggiore ponderazione nella scrittura e nel suono.
Non si pensi tuttavia che i brani di "Winter Lady" siano algidi né tanto meno rivestiti da sovrastrutture produttive. Tutt'altro; anzi, saturazioni droniche, ora lievi e avviluppanti, ora increspate in prominenze distorte, continuano a costituire il substrato sul quale corrono le esili armonie tracciate dalle modulazioni vocali di Alicia, tanto quando si lasciano andare a linee melodiche definite quanto nelle astrazioni visionarie di brani quali "Hollow" e l'iniziale "Fatal Melody".
Quest'ultima, con il suo soffio impalpabile e la sospirante declamazione "I won't be the saviour for your fatal melody", si atteggia quasi a manifesto dell'estetica di Birds Of Passage, introducendo un lavoro i cui tre quarti d'ora di durata continuano ad affrontare demoni nascosti ("The Monster Inside You"), ma lasciano tuttavia trapelare il raggio della speranza attraverso le dense brume di manipolazioni in fedeltà casalinga e di torsioni chitarristiche a stento soffocate. Prova evidente ne sono i rilucenti frammenti elettroacustici elaborati da Mathias Van Eecloo (Monolyth & Cobalt) per "Away With The Night" e gli onirici paesaggi sonori della conclusiva "Waltz While We Sleep", che rendono manifesta come non mai l'affinità concettuale con i Sigur Rós; in numerosi altri passaggi la comunione tra morbidi riverberi e le modulazioni vocali di Alicia lascia invece balenare il ricordo dei Cocteau Twins, rallentati e spogliati delle loro componenti più carezzevoli.
Ma quel che nuovamente impressiona nelle "canzoni-non-canzoni" della Merz è la straordinaria capacità di coniugare linguaggi diversi, inscrivendo melodie negli impervi contesti di drone e filtraggi elettronici. E benché la forza evocativa di gran parte di "Without The World" sia probabilmente ineguagliabile, l'artista neozelandese suscita nuovi brividi quanto meno nei due brani più compiuti del lotto, ovvero "Disaster Of Dreams" - mantra lieve ma di toccante fragilità - e "Highwaymen In Midnight Masks", opportunamente prescelto come singolo, con i suoi otto minuti e mezzo che partono da note pianistiche, si sviluppano in allucinate visioni metropolitane e infine scolorano in un flusso ambientale moderatamente scosso da impulsi in rarefazione.
Sono più che sufficienti episodi come questi per rinnovare la magia in musica di Alicia Merz, una magia profondamente sentita nella sua essenzialità da autentica "signora dell'inverno" che, come tale, non necessita di orpelli per esprimersi, ma solo di sensibilità empatica per essere compresa e amata.
15/12/2011