Hans-Joachim Roedelius, l’altra metà dei Cluster con Moebius, all’epoca della pubblicazione del primo dei sei “Selbstportrait” (1979), è esattamente ciò che dice il titolo stesso: la sua persona (artistica). Tradotto, ciò significa che i suoni del periodo sono ormai tranquillizzati, perlopiù avulsi dalle lotte e dalle ricerche del suo primo periodo stilistico, e ancor più del duo maggiore.
La polpa dell’opera è costituita da bozzetti fluenti a pastelli elettronici aggraziati, con una base arpeggiata, insistita, solfeggiata. Gli svolazzi metafisici di “In Liebe Dein” sembrano un’appendice strumentale al “Rock Bottom” di Robert Wyatt (meno i vocalizzi), mentre “Inselmoos”, “Fabelwein” e “Halmharfe” rientrano perfettamente nella categoria pre-ambient (con improvvisazioni leggiadre di synth), e “Kamee” fa il filo a Eric Satie. Un momento di dinamismo modernista viene con i dialoghi tra tastiere elettroniche e drum machine di “Arcona”.
Colto dal magnetismo di Brian Eno (la collaborazione immortalata su “Cluster Und Eno” viene appena un anno e mezzo prima), non ha la risonanza e la plasticità melodiosa di un Vangelis, ma gioca un ruolo anche più fondativo nel passaggio da musica cosmica a sentimenti più meditativi (leggi new age). Ristampato nel 2011 dalla Bureau B, come per gli altri lavori solisti dei due. Unico “autoritratto” degno di essere contemplato, i seguiti della serie - “Selbstportrait vol. II”, “Selbstportrait” vol. III”, con sottotitolo “Reise Durch Arcadien”, entrambi del 1980, “Selbstportrait VI The Diary Of The Unforgotten”, 1996, “Selbstportrait VII Dem Wind Voran”, 1999 e “Selbstportrait VIII Introspection”, 2002, e i dispersi volumi IV e V - sono solo olografie.
22/02/2011