Forse l'unico modo per esprimere la coralità anche di questo secondo disco - inframezzato però dall'uscita solista di Ebert - e mettere in secondo piano la corda un po' frusta delle canzoni (soprattutto rispetto a certe di "Up From Below").
Dopo gli Arcade Fire prigionieri a Città del Messico di "Man On Fire", parte la music box Callahan-iana di "Dear Believer", con un tema di tromba che sembrerebbe morriconiano ma subito si schermisce, e uno dei peggiori ritornelli ascoltati quest'anno, un blando coretto di soul stantio con tanto di synth.
Quest'aria di pseudo-misticismo animista è una delle cose meno gradevoli di "Here" (vedasi "Mayla"); l'insipido cosmopolitismo di una comunità in realtà chiusa.
Naturalmente il tema principale del disco rimane comunque il country festoso e sudista di una "I Don't Wanna Pray" o di una "That's What's Up", ma sempre con una tendenza a un macchiettismo monocromatico che difficilmente può convincere.
(25/06/2012)