Se gli Stereolab sono fermi dal 2009 in una non ben definita pausa, la loro cantante, Laetitia Sadier, è quanto mai attiva e presente. Dopo il debutto solista del 2010 con l'introspettivo “The Trip”, “Silencio” si tuffa nell'attualità: il mezzo-soprano francese lancia slogan da protesta studentesca con la calma lapidaria di una Nico del 2012. Le architetture sonore, che non sono presenti come in un disco firmato Stereolab, bensì pensate quale sfondo alla personalità della Sadier, sono trasognate ed eteree, in bilico tra acidi indie-pop ed elettronica vintage. L'effetto è un film noir straniante, ricco di chiaroscuri complessi e raffinati.
Nel sito della casa discografica della Sadier, la Drag City, si legge una descrizione molto eloquente del nuovo album: “It’s 2012 — do you know where your government is tonight? Occupy yourselves — and let’s get busy with the music in our minds.” La cantante parteggia quindi per movimenti quali Occupy Wall Street, esplosi sull'onda della crisi finanziaria e delle primavere arabe, ma anche per i moti studenteschi spagnoli: “We want real democracy”, canta nel piccolo gioiello shoegaze che è “Auscultation To The Nation”, in un chiaro omaggio al “Democracia Real Ya” degli acampados di Puerta Del Sol. Il topos letterario “us vs them”, tipico di certo linguaggio politico anglosassone, ritorna ancora più chiaro nella seguente “There Is A Price To Pay for Freedom (And It Isn’t Security)” dove un verso come “follower of conformity that we do identify with a reflection in merchandise” trova posto a bordo del veliero serafico del post-rock, senza dimenticare un po' di malinconia per la costellazione robotica di Brian Eno e le linee melodiche ai confini della realtà di Robert Wyatt.
Chi è avvezzo alle divagazioni socio-politiche del kraut-lounge degli Stereolab non accoglierà con stupore questo aspetto attivista del nuovo lavoro di Laetitia Sadier. La sua prova da solista prende però forza dalle venature politiche e regala la promessa di un'artista del tutto nuova, indipendente dal suo percorso come leader di una band. A confermare questa ipotesi ci sono i deliziosi scivoloni bossa-nova di “Find Me The Pulse Of The Universe”, dove il ritmo latino sostiene una preziosa danza di elucubrazioni melodiche sulla matematica del cosmo. Derive jazz anche per la caffeina di “The Rule Of The Game”, che riflette su ignoranza e neo-fascismi, e nella scarna “Lithing Tunderbolt”.
Il focus si sposta invece dalla comunità al rapporto pubblico-io in “Moi Sans Zach” e nella finale “Silencio”, monologo interiore ispirato a una visita in chiesa della cantante-chitarrista, che più che pregare nota come l'acustica della chiesa amplifichi persino il silenzio.
Felice risoluzione della dicotomia parole/musica, “Silencio” attraversa le pagine dei giornali, lancia messaggi universali, eterni e apocalittici: una completa simbosi tra la sfera inconscia del suono e quella razionale della logica sintattica.
11/10/2012