Il batterista della tua band, così di culto che tutti dicono di apprezzarla ma i suoi dischi sono out of print da anni, muore, e sei costretto a dirle addio dopo una reunion costosa, anche in termini emotivi; poco più tardi, vieni colpito da un infarto e le spese sanitarie prosciugano tutti i tuoi risparmi; i demo che mandi alle etichette vengono rifiutati come se fossi un adolescente brufoloso senza arte nè parte e non un cantautore di 53 anni con più di vent’anni di carriera alle spalle.
Poi un tuo amico vince alla lotteria, e ti finanzia la registrazione del disco negli studi di Sheldon Gomberg (Rickie Lee Jones, Ben Harper).
È un turbine drammatico e amaramente ironico che trova un riflesso in questo “Don’t Be A Stranger”, uno dei dischi più diretti e accessibili di Mark Eitzel, a partire dalla scelta degli arrangiamenti, che non si lasciano mai andare a distorsioni o effetti rumoristici. Un disco Waits-iano, una lounge music da perdenti (“Why Are You With Me”), che suoni in un locale di periferia semi-deserto per sentirti dire “I Love You But You’re Dead”.
Allo stesso tempo Eitzel sembra prendere anche dall’esperienza della composizione di un musical, che trasporta in alcune delle canzoni di “Don’t Be A Stranger” il gusto per l’interpretazione istrionica (“Break The Champagne”), che esalta, alleggerisce e nobilita l’impostazione drammatica delle canzoni del cantautore americano.
Con ironia appare la psichedelia Drake-iana di “I Know The Bill Is Due”, per come il sogno della composizione si affianca all’iper-realismo della confessione di Eitzel; un etereo struggimento, alla Antony (che compare qui in “Costume Characters Face Dangers in the Workplace”), sostiene le aeree carezze di “Your Waiting”.
Su tutto emerge una classe che nessuno oserebbe mettere in dubbio, quella di chi sa accettare la vita e affrontarla facendo ciò che gli piace fare, qualsiasi cosa succeda.
17/10/2012