Mutamassik è, assieme a Filastine, il nome di cui più si è parlato negli ultimi tempi in riferimento a un modo del tutto nuovo di intendere lo stile e l’espressione breakcore. Nuovo non tanto per il fatto di spostare le coordinate di genere, quanto per il contesto completamente diverso da cui prende forma, una condizione in cui la componente personale e psicologica gioca in centravanti e la biografia dei suoi interpreti è lì, tangibilissima, in superficie.
In più, il nome di Mutamassik è legato a doppio filo con la rete di artiste e dj al femminile brulicante nel sottosuolo musicale maghrebino e mediorientale, venuta parzialmente alla ribalta in particolare in seguito alla primavera araba, con il rinnovato interesse di alcuni media europei nei confronti dei movimenti culturali all’ombra dei minareti.
La storia di Mutamassik del resto è il paradigma dell’Einwanderer nordafricano contemporaneo: nata nel Belpaese da madre egiziana (da cui il nome italianissimo di Giulia Lolli) e in continua migrazione tra il Cairo, gli Stati Uniti e l’Italia, dove di recente ha deciso di rimettere le tende.
Il suono di “Rekkez”, album numero tre nella sua discografia, appare di conseguenza instabile e frammentato, ancora più precario e cupo rispetto ai lavori precedenti.
Le percussioni egiziane suonate interamente dalla Lolli, che costituiscono il nucleo del progetto, vengono cosi scratchate e sporcate in continuazione, cozzando consapevolmente contro ogni facile e accomodante intento danzereccio o ento-ambientale, con “Nawal” come unica, timida, concessione a un beat più liquido, dalle parti di uno strano trip-hop a tinte tribali. Frasi di synth, field recording e intercettazioni radio completano e infittiscono questa maglia astrattissima e impenetrabile.
Quello che ci ritroviamo tra le mani è qualcosa di totalmente atipico e incompromissorio (fin troppo, si potrebbe obiettare), né piacevole esotismo da narrativa da viaggio, né musica politicamente orientata e impegnata, bensì un asciutto groviglio psicologico frutto di instabilità e confusione culturale. Un quadro asfissiante, figlio del suo tempo, sfogo e improbabile panacea di tensioni irrisolte.
09/01/2013