Tamaryn

Tender New Signs

2012 (Mexican Summer/ COOP Music)
dream-gaze

Folgorati dalla retromania sulla via di Damasco crescono, o, per meglio dire, sbucano di nuovo dalle tenebre. Tamaryn Brown e Rex John Shelverton da San Francisco, meglio noti col solo nome della frontwoman (dagli ascendenti kiwi in realtà), forti di un piccolo esordio due anni fa che li mostrava quasi come dei “pionieri” (si fa per dire) assieme a pochi altri dell'imponente rilancio di quelle linee dream-gaze ormai diventate più che altro un fastidioso vezzo espressivo, tornano sul luogo del delitto senza mutare di una virgola la scena del crimine.
Difatti, questi nuovi teneri segnali decantati nel titolo sono alla fin fine tutt'altro che nuovi: consci che battere il ferro finché è caldo sia talvolta una strategia vincente per piazzare meglio il proprio prodotto, nel secondo album del duo è la diretta prosecuzione del primo, senza alcuna variazione che non sia l'essere inserito in una scena giunta davvero al parossismo.

Si profila così l'ennesimo intingolo preparato appositamente per stimolare l'appetito di tutti gli irriducibili amanti di voci femminili, angeliche e intangibili, ideali nel risultare sempre mesmeriche ed evocative, tra riverberi assortiti e l'incessante sospetto che possano ipnotizzarti da un momento all'altro. Un compito tutto sommato semplice per la Brown, che presumibilmente ha passato tutta l'adolescenza in compagnia dei dischi dei My Bloody Valentine, dei Mazzy Star e di altri gruppi coevi e ne ha metabolizzato ogni sfumatura, dalle flessioni vocali (impressionante la somiglianza a Bilinda Butcher) alla costruzione stessa dei pezzi, tutti intenti ad amoreggiare scopertamente con la pallida dimensione del sogno.
Proprio per questo (e sono anche gli stessi titoli scelti per i brani a ribadirlo) è nel viaggio onirico, nell'ebbrezza estatica del sonno, che i nove capitoli innestano le proprie fondamenta, eteree, ma pur sempre tangibili, tese ad una stupefatta illustrazione di incontri sovrannaturali e avventure nel cuore della notte. Con una produzione fintamente lo-fi, in realtà attentissima a ogni singolo granello sonoro, e con trame chitarristiche sempre sospese in uno stato di limbo, il lavoro risulta quindi ben più interessato a cogliere particolari stati d'animo che a colpire per la levatura delle canzoni, troppo spesso sprovviste di un profilo melodico davvero convincente.

Da questa morsa, infatti, sfuggono giusto i tratti lievemente più marcati di una “Heavenly Bodies”, perché per il resto, niente si oppone al fluttuare sonoro lunare e pacatamente psichedelico, che soltanto in qualche mutamento di ritmo, in qualche gioco più riconoscibile tra le chitarre e le drum machine (“While You're Sleeping, I'm Dreaming”) accenna a piccole deviazioni da un sound altrimenti monolitico.
L'involucro sa presentarsi indubbiamente bene, e attrarre col prestigio di un idioma sonoro che pur nello scorrere dei decenni non ha perso un centesimo del proprio smalto, ma la troppa inconsistenza della scrittura, che sia voluta o meno, lascia più di un dubbio su quanta personalità il duo abbia voluto infondere nel disco. In attesa di saggiarli in una prova possibilmente di più ampio respiro, un album per notturni solitari, per i sognatori più ostinati.

29/11/2012

Tracklist

  1. I'm Gone
  2. While You're Sleeping, I'm Dreaming
  3. Afterlight
  4. Heavenly Bodies
  5. The Garden
  6. No Exits
  7. Prizma
  8. Transcendent Blue
  9. Violet's In A Pool

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