Il progetto audio-visual di Klaus Von Barrel e Kat Day è un ritratto intimista d'ispirazione ballardiana. La genuinità della sua introversione è un sentimento semplice e puro, che si incrocia e si fonde ai circuiti organici pulsanti di sintetizzatori e feedback motoristici. Un ritratto televisivo rotto e offuscato da tante, troppe radiazioni, che cerca di rappresentare la sua sensibilità con i toni chiaroscuri di un post-punk sonnambulo, dalle minimali venature synth-wave.
Arrivato dopo il debutto nel 2010 (“The Black Sun”, realizzato solo in cassetta), e un 10” per l’etichetta di Regis, la Downwards, questo “Always Then” mostra un punto interessante di maturazione dell’estetica del giovane inglese, oltre a essere il primo vero Lp prodotto.
Chitarre shoegaze e melodie strozzate sono la base testuale di un disco per molti versi cerebrale, ma capace di rara, scheletrica, emotività.
L’iniziale “Captives” è una poesia bipolare, capace di unire i colori vivaci del synth a una voce lobotomizzata, apatica. Un tipo di autismo tecnologico che si diffonderà tra il ritmo meccanico di “Waiting For The Fall” in forma di feedback confusi e soffocamenti magnetici. La folgorante “Hands” ci sembra portare su una spiaggia di polvere di cemento, in cui la malinconia apatica di “Leaning” si troverà a ciondolare in un loop emotivo circolare, tra ritmi quadrati marzial-meccanici fino a una danza rumorosa per cervello solista, tra filtri algoritmici ormai andati a pezzi.
“Here It Comes” mostra suadenti code soniche dal gusto Spacemen 3 – Jesus & Mary Chain, che ben s’incastrano in un disco dominato da un isolazionismo in bassa fedeltà, in un'intima segregazione emotiva. La coppia finale “Dreams”–“The Truth” firmerà e sigillerà quest’opera tra chitarre lisergiche, litanie post-punk e una sottile, bisbigliata, confessione finale.
La bellezza entropica di “Always Then” è questo soliloquio raccolto tra frequenze confuse e abbandonate, attraversato da convulsi mutamenti d’animo e una visione lisergica di meccaniche solitamente grigie e polverose. Un monologo rivolto a uno specchio morbido, sorretto da un sistema di ingranaggi nascosti, che solo con i prossimi dischi, forse, riusciremo a capire pienamente.
25/01/2013