A causa della sua semplice perfezione grafica, lo zero è storicamente presente in qualsiasi tradizione, sia essa letterale, religiosa o filosofica. In matematica il numero zero è realmente una cifra nulla, non si somma e non si sottrae, ma senza di esso la matematica non potrebbe esistere, ciò che permane di lui è la sua presenza simbolica.
Esotericamente invece, attraverso il suo stato di "non esistenza" indica qualcosa che va oltre il numero stesso. Rappresenta il non-essere, ma la sua forma geometrica, il cerchio, simboleggia l'eternità, l'uroboro, il serpente che si morde la coda, che nel linguaggio alchemico identifica la rigenerazione, la ciclicità della vita, l'eterno ritorno.
L'assalto frontale del claustrofobico sophomore di Luis Vasquez è strutturalmente generato allo stesso modo. L'intento è quello di creare un continuum ciclico, una matrice di trama che scorra dall'inizio alla fine, in cui la memoria della storia ravvivi tensione, paura, tragedia, inquiete rarefazioni che confluiscono in un senso di oscurità incombente reso attraverso percussività marziali, plumbei intermezzi kosmische, occasionali tracce minimal-wave e reiterati stralci di sferragliate motorik.
A sostegno di questa tesi di circolarità, l'iniziale "It Ends" e la conclusiva "ƨbnƎ ƚI" testimoniano (sia testualmente che musicalmente) una spirituale e ineffabile inquietudine, come nel più sinistro degli specchi. Perché funzioni "Zeros" è infatti un disco che va preso e ascoltato nella sua pienezza, opprimendo di grado nella sua fumosa etereità.
Un non-luogo spazio temporale che nasce, nuovamente, dalla solitudine. L'artista di Oakland, nonostante il successo del tour con i nuovi membri del progetto, ha voluto richiudersi nuovamente nella propria stanza da solo. Un processo di scrittura intimista che perde però la successione evolutiva mostrata fino all'Ep "Total Decay" e segna un abbandono ormai totale di quella forma-canzone che aveva già liberamente destrutturato nel disco di debutto. Nonostante una visione circolare e organica complessiva, “Zeros” è formato da tante piccole unità frammentate, da molte installazioni artistiche a sé stanti.
La miniatura post-industriale di “Machines”, la dark-wave gelida e stridente di “Zeros” e “Insides”, il linguaggio binario e malato di “Remembering The Future” (il fantasma di John Carpenter è dietro la porta) rappresentano pienamente questa nuova visione. Le uniche eccezioni sembrano essere “Die Life” – primo singolo estratto - e la successiva “Lost Years”, in cui la voce di Vasquez, scesa nella produzione a strumento parallelo di synth e chitarra, dona un senso di claustrofobia emotiva, di inquietudine spettrale, assente negli altri brani, declinati secondo una visione strumentale astratta.
Rispetto all'omonimo predecessore, “Zeros” guadagna senza dubbio in qualità sonora (Vasquez ha dietro lo studio di Monte Vallier), in velocità e nel disegno dei suoni, curati e scolpiti attentamente, senza alcuna sfumatura di gusto vintage.
Sebbene sia stato costruito come un sentiero immaginifico, come un film, o un libro, quindi un percorso coerente e lineare, il disco manca però di una forza espressiva più sotterranea che riesca a dare identità e ruolo alle singole tracce e all’opera in sé. "Zeros", nonostante si manifesti come un eccellente lavoro di un sapiente artigiano di immagini, rumori e incubi, perde purtroppo il suo fascino tra crepe vuote di emotività, nella ricerca ossessiva di una qui troppo artificiosa perfezione geometrica.
06/11/2012