Sarà facilmente destinato a infiammare la blogosfera rock-planetaria più schiva e refrattaria alla luce sgretolata del pettegolezzo, questo omonimo disco di debutto a firma The Soft Moon. Dietro il moniker in questione si cela in realtà l'ennesima one-man band americana (San Francisco, per la precisione), prodiga di ingegno minimale e sublime arte povera in brodo di giuggiole lo-fi. Non bisogna allora sorprendersi che a editarla sia il marchio in ascesa perenne della Captured Tracks del maestro di decostruzioni Mike Sniper, ormai prossimo a trasformare il suono (e l'estetica complessiva) delle proprie attentissime produzioni a tiratura limitata in un manifesto concettuale a ogni nuova uscita sempre più definito e pervasivo, nel quale un ruolo tutt'altro che secondario viene strategicamente giocato dal supporto fonografico prediletto, ovvero il vinile (nonché, in misura minore, la cassetta).
Principale animatore del progetto Soft Moon è tale Luis Vasquez, visionario compositore che pare aver attraversato i meandri più torridi di un deserto del Mojave dai contorni vagamente jodorowskiani per attingere (in tutta la sua originaria purezza) a un allucinante dettato sonoro, nel quale radici industrial, goth e dark-wave si intrecciano in maniera inestricabile, generando un frutto di algido misticismo esoterico, in bilico tra l'evocazione demoniaca e la danza rituale. Il tutto si ritraduce in una galleria di tele astratte, per lo più strumentali (la voce è spesso disciolta in mugolii disarticolati), in cui una certa dilatazione espressionista dei suoni (fondamentale il lamento di synth macabri e catacombali) viene puntualmente contornata dal tratto spesso di regolari geometrie ritmiche, in ottemperanza rigorosa al più plumbeo e austero costruttivismo post-punk (si osservino anche le astrazioni grafiche della copertina).
Tra i pezzi più affascinanti segnaliamo senz'altro i vortici di ipnotismo catatonico di "Parallels" e di "Circles", le atmosfere post-apocalittiche da horror paranormale fanta-metafisico di "Out Of Time", fino alla compiuta perfezione formale di hit impossibili come "Dead Love" (irresistibile) e "Tiny Spiders", in un gioco a incastri (governato peraltro da un'inusitata disciplina compositiva) capace di assemblare Joy Division, Suicide, Killing Joke, Cure, Sisters Of Mercy, riconnettendosi così all'opera più recente di altre interessantissime realtà americane stilisticamente affini (si pensi soprattutto agli Have A Nice Life o agli ancor più freschi Blessure Grave e Balaclavas, oltre allo stesso Blank Dogs). Da seguire.
04/12/2010