Il chitarrista cagliaritano Francesco Serra debutta, dopo alcune cassette autoprodotte, con “Micro Meadow” (Here I Stay, 2007), raccolta di comode e bisbigliate canzoni di pop lo-fi, talvolta trasfigurate in senso post-rock, come per “Window Seat” e l’acuto di desolazione di “Won In July”.
Per quanto a loro modo articolate, queste composizioni non valgono il salto quantico del disco omonimo del 2012, una lunga sonata da camera che rinuncia al canto, e a qualsiasi altra connotazione musicale ed extra-musicale, e sprofonda in coaguli di loop e improvvisazioni, non limitandosi a sfoggiare la padronanza del mezzo, e anzi creando una suggestiva drammaturgia.
La prima parte (17 minuti) attacca con un recitativo di feedback da cui germina un po’ tutto quanto segue; un folk estatico di grandiose strimpellate approda a un balletto di toni di chitarra, insistente e sempre più polifonico battuta dopo battuta, quindi microrganismi elettronici lo sfaldano in una coda rallentata.
Prima che assuma aspetto regolare con tanto di apporto ritmico convenzionale, la seconda parte è strimpellio alla John Fahey trasfigurato in senso alieno, e ricolmo di stridori, dissonanze, pause e interferenze. Staccato luminescenti e tintinnati introducono il terzo movimento, in cui il contrappunto diventa vera e propria addizione di tocchi cromatici in stile David Pajo, ma - purtroppo o per fortuna - in questo brano succede poco. La quarta parte è la più spettrale e malinconica, un sussulto di catene di accordi animosi, di pennate metafisiche alla Gastr Del Sol, e una visione conclusiva astratta che lentamente scompare in antri elettronici.
Concepito, e strutturato, come una serie di pièce in tempo andante-allegretto, merita rispetto per impegno, impianto importante, e appassionata esecuzione, a parte la meditazione cinematica in filigrana. Evoca due immagini, speculari e anche contrapposte: di vita cristallizzata, misteriosa, e di natura morta rigogliosa. Finale da antologia del post-rock.
07/01/2013