"Gloriosamente carino": così è stato definito, altrove, il nuovo disco dei Walkmen, ormai grandi star del rock indipendente americano, insieme ai National. Un po' irrisoria, un po' celebrativa, questa definizione accontenterà senz'altro i detrattori e i sostenitori insieme del nuovo corso della band, iniziato soprattutto dallo scorso "Lisbon".
Approdata in quest'ultimo alle Baleari, la band di Hamilton Leithauser non sembra certo intenzionata a lasciarle ("Heartbreaker"), anzi ha chiamato Phil Ek a unirsi a questa vacanza perenne - un limbo, più che un paradiso. Il sound della band ne risulta così ancora più smussato, con la comparsa frequente di un'acustica alla chitarra ritmica e di armonizzazioni - si erano mai sentite? - di stampo Pecknold-iano.
Il risultato è che, senza quel suono così caratteristico, come di una macchina a vapore sferragliante, il suono delle grandi fabbriche del North-East e della "vita moderna" delle metropoli, emergono impietosamente i limiti della scrittura di Leithauser, quasi sempre schematica, priva di veri guizzi; se non, qualche volta, legata a un'idea appena abbozzata, come un prototipo monco ("Nightingales").
Il gioco ha retto fino a quando la scenografia ha contato più della trama ma, ora che i Walkmen sono tra i più richiesti dai Fallon e dai Letterman (dove senz'altro Hamilton e soci riusciranno ancora ad impressionare), ci si aspetterebbe decisamente qualcosa di più.
Tra la vagamente morriconiana "The Witch" e le placidamente radiofoniche "Song For Leigh" e "Heaven", la band non sposta di un millimetro l'asse emotivo del disco, posizionato su un comodo grigiore. Speriamo che il paradiso non corrisponda davvero a tale ottundimento dei sensi.
28/05/2012