Fatto sta che questo logorroico "Adam Ant Is The Blueblack Hussar In Marrying The Gunner's Daughter" (logorroico è il titolo, verboso è il disco e ridondante è la durata, per amor di precisione) è un album bellissimo, superbamente concepito, interpretato, arrangiato e fatto suono. Un disco divertente, emozionante, commovente, un tuffo nei ricordi di ricercatezza inarrivabile, pari forse solo a qualche pomeriggio televisivo domenicale, quando si scovano i "Goonies" o i "Gremlins" tra una Barbara D'Urso e una Lorella Cuccarini. Tutto, è meglio chiarirlo fin da subito, a patto di considerarsi orfani di tutto il carrozzone iconografico-musicale che ha caratterizzato da sempre la musicalità di Adam Ant. Intanto per la scelta dei titoli da dare alle canzoni, frutto di uno stato di grazia che a quasi sessant'anni ha dell'incredibile. Poi, per la scelta di farsi accompagnare once again dall'ormai mitico Marco Pirroni, nonostante tutti i passati anni impiegati in reciproci scambi di "complimenti".
Così anche Adam Ant si ricicla con voce affaticata dagli stravizi di una vita nel modernariato ("Vice Taylor") non disdegnando accenni vagamente contemporanei ("Cool Zombie", "How Can I Say I Miss You?") e patetismi tipici di chi ha una certa età ("Punkyoungirl"). Non mancano ovviamente le schitarrazzate ("Hard Man Tough Blokes"), la "new wave" ("Stay In The Game"), i ritmi percussivi noti a qualsiasi fan degli Ants, ma riveduti in chiave moderna ("Marring The Gunner's Daughter", "Bullshit") e neanche le ballate per fare sognare qualche principessa rinchiusa chi sa dove ("Valentines"). Eppure, se ci è possibile fare una sintesi, tra un occhiolino fatto ai dancefloor rock ("Shrink") che non otterrà mai il risultato desiderato e imbarazzanti cantilene del tutto fini a sé stesse ("Darling Boy"), forse è soltanto uno il momento che ci permette di gioire veramente di questo ritorno in pista: la sinusoidale ballata psicotica "Who's Goofy Bunny?", omaggio (in)diretto al cappellaio matto Barrett, al compianto Bolan e al duca Bowie, proprio come se arrivasse direttamente da un disco non successivo al 1971.
D'accordo, per onestà intellettuale a un disco del genere (mantenendoci larghissimi) non potremo mai mettere più di "5" ma, sempre onestamente parlando, che mondo grigio sarebbe senza un po' di "antmusic"?
(24/01/2013)