Ha recentemente annunciato l’avvio del nuovo progetto Minor Alps, condiviso con il cantante e chitarrista dei Nada Surf Matthew Caws, e per festeggiare l’evento torna con un album solista (il suo quattordicesimo) realizzato grazie al sostegno dei fan attraverso la piattaforma PledgeMusic, a due anni dal notevole “There’s Always Another Girl” e a uno dalla scialba raccolta di cover che portava il suo nome. Tutto si potrà dire di Juliana Hatfield, tranne che sia un’artista avara in fatto di sorprese, o che negli anni sia cambiata chissà quanto. Questo “Wild Animals” lo ribadisce abbastanza chiaramente, e cambia ben poco le carte in tavola il voler dissimulare quel suo aspro temperamento attraverso una mise intimista, esilissima ma accorata.
In apertura “Sleep” fissa lo standard: la cantautrice del Massachusetts predilige una formula estremamente raccolta, limitandosi a illuminare con l’essenzialità del suo stile chitarristico e con la sua inconfondibile voce da eterna sensuale ragazzina, supportata da poche note d’organo e nient’altro. Movimentata da un picking secco e veloce, qua e là accompagnata da un drumming ridotto all’osso, la scrittura non ha problemi a mostrarsi per quella che è, semplificata al massimo, e punta a lasciare in bella luce le melodie nette ma genuine di un ex-rocker e anima inquieta ormai (in apparenza) pacificata. Casalinga nelle registrazioni che sposano un lo-fi di sostanza, non paraculo, sostenuto appena da una basilare impronta ritmica, Juliana tira dritto con la sua impostazione testarda di grande spontaneità.
“June 6th” conferma il taglio schietto e domestico dell’unico splendido episodio in solitaria di Evan Dando (“Baby, I’m Bored”), ormai vecchio dieci anni, e così fanno i brani che seguono. Il nome del suo ex compagno d’arte (e non solo) non è tirato in ballo per caso, visto che la canzone in questione e “Love is Like the Wind” ricordano in modo impressionante proprio i passaggi più tranquilli dei Lemonheads di una ventina di anni fa, quelli sulla cresta dell’onda (tra “It’s a Shame About Ray” e “Come on Feel The Lemonheads”) nelle cui fila la Hatfield aveva militato: a quanto pare un’esperienza formativa importante quasi quanto quella nei Blake Babies, la cui eco torna a farsi sentire a più riprese in un disco dove sono numerosi i pezzi approntati per sembrare la versione acustica di quelli ben più tirati pubblicati a inizio carriera. Proprio come allora, quando la cantante si espone senza riserve sul piano dei sentimenti (“Or So They Say”, “Hurt Me”), scarna e quasi nuda, toccante perché più fragile che nelle consuete vesti, piace particolarmente.
“Wild Animals” – occorre chiarirlo – non è nulla di stratosferico, anche se Juliana sa accarezzare l’ascoltatore con una bella gamma di modulazioni emotive ed è abile nel farsi seguire fino in fondo, riuscendo a essere sempre se stessa senza maschere e senza artifici formali. Per quanto la ricetta non cambi, l’autrice statunitense non annoia, affascina con semplicità. Difetta forse un po’ di profondità, rinuncia alla varietà di soluzioni che la norma più muscolare del suo pop-rock normalmente le consente, ma non c’è frangente in cui manchino momenti suggestivi, piccole rivelazioni o preziose sfumature. Da brava intrattenitrice, si lascia apprezzare nella sua classicità senza strafare. Il suo più grande merito, a questo giro, sta nel non aver voluto tirare troppo in lungo un piccolo album, senz’altro minore nel suo ormai considerevole repertorio, ma di indubbia sincerità.
Per qualche buona nuova non resta invece che attendere i Minor Alps e il prossimo 29 ottobre, data prevista per l’uscita del loro esordio, “Get There”.
24/08/2013