I love the city in the night
When she tells me that she’s mine
I believe her everytime
(I feel safe in the city)
("City")
Molly Nilsson è un donnone svedese ben noto ai fedeli della scena minimal-sintetica: autrice di quattro album che hanno dato origine a una sorta di mini-culto professato da diversi nomi eccellenti dell’ambiente e non (l’amico John Maus su tutti), e (anti)icona contemporanea di globe-trotter, bohemien e altri stili di vita senza residenza e a budget ridotto post-Millennium.
La sua primissima opera, “These Things Take Time”, risplende tuttora tra gli episodi più brillanti dell’ultimo lustro – per quanto ancora del tutto da riscoprire – mentre il recente tour negli States e nell’Europa Orientale ha allargato notevolmente la sua popolarità grazie anche a un approccio insolito al live, in cui la distanza “sociale” tra l’artista e il pubblico è del tutto cancellata (ebbi modo di vederla a Budapest impegnata tra un pezzo e l’altro a raccontare aneddoti spiritosi e a tracannare cicchetti di acquavite locale con i presenti). Antitesi delle pose hipster e dei velleitarismi di sorta, Molly Nilsson parla dal cuore e dall’esperienza, sola con un laptop, come fosse l’amica di sempre di sbronze e divagazioni esistenziali.
La sua formula musicale è contiguamente essenziale, lo-fi e senza fronzoli, nonostante il pozzo da cui attinge sia evidentemente quello dei patinatissimi Ottanta, e si regge miracolosamente su un fragilissimo equilibrio fra le trame vocali rigorose (si scoperchia qui un background “wave” di Sisters Of Mercy, Siouxsie e Cyndi Lauper, per quanto declinato in maniera molto personale) e le tracce sintetiche fredde e malinconiche in pieno umore minimal-synth.
“The Travels” la riporta in pista a due anni da “History” e risente nei temi in maniera palese della recente esperienza live. Le dodici tracce nascono così da impressioni private e racconti carpiti da qualche fine serata da entrambe le coste dell’Atlantico: “Philadelphia”, “City” e “Going Places” sono piccoli brani-manifesto di questa filosofia girovaga e noncurante del mattino successivo, “The Power Ballad” (forse tra i brani più belli del suo canzoniere) una dolce digressione sul potere dell’amore versus l’amore del potere, mentre il singolo “Dear Life” ricapitola tutto in una dedica alticcia alla forza vitale (“Dear Life, you know I love you secretly/ even when you're talking dirty to me/ (and I'm not only saying this cause I'm drunk)”).
Schizzi di una penna semplice ma acuta, vagamente inquieta ma sempre positiva al suo nocciolo (la quasi solare chiusura di "Out There"), vivace in ogni sua impressione. Le si perdonano così anche due momenti meno riusciti, “Omega” e “Atlantic Tales”, che rallentano l’ascolto in una parte cruciale dell’album.
Disco palpitante e sentito, pur non bissando la scura intensità degli esordi, “The Travels” parla al cuore e ai piedi più irrequieti. Chiunque si sia trovato almeno una volta a vagare perduto per la periferia di una qualsiasi capitale europea alle quattro di mattina non faticherà a comprendere il blues delle synth-ballad di Molly Nilsson.
(03/07/2013)