Namie Amuro

Feel

2013 (Avex Trax)
dance-pop, j-pop

E dai, lo dico pure io. Tanto, sembra essere questo il commento che va per la maggiore, da parte di chi ha ascoltato “Feel” e che non si perde alcun appuntamento discografico di una delle indiscusse regine del pop asiatico: “Namie Amuro si è fatta furba”. Volendo, potrei pure uscirmene con la variante, tant'è che forse il concetto trapela con maggiore incisività: “Il nuovo disco di Namie Amuro è troppo commerciale”. Capirai, la scoperta dell'acqua calda: come se diciotto anni (tanti ne intercorrono oramai dal suo esordio solista) trascorsi da assoluta primattrice nelle classifiche di tutto l'Estremo Oriente, e i trentun milioni di copie vendute nel solo Giappone, non lo stabilissero con lampante evidenza.
Nel corso di una carriera così lunga (per gli standard di un mercato che fa presto a scovare facili rimpiazzi), nell'avvicendarsi di tendenze e costumi, l'avvenente popstar, occhio rapace e mente sempre lucida, è riuscita a reinventarsi e a re-imporsi con notevole duttilità, trasformandosi di fatto da starlette della eurodance a diva dell'r&b, per approdare a una forma ibrida di urban-pop futuristico, proprio col quale ha toccato il suo zenit (“Past > Future” è tra i migliori dischi j-pop dell'ultimo decennio). Giunta all'undicesimo album, è per lei il momento di un'ennesima mutazione, in parte coincidente però con un ritorno alle origini. Rispolverando quella dance che sembrava oramai aver accantonato del tutto per un'urbanizzazione definitiva del proprio sound, la cantante non soltanto riscopre i timbri euro con i quali il producer Testuya Komuro l'aveva scagliata nella stardom continentale, ma ne aggiorna parallelamente dinamiche e metodo, trascinandolo nell'era del dubstep e dell'electro-house: un connubio non sorprendente, ma che ha di che raccontare.

Senza troppi convenevoli, si entra dritti nel pieno dell'azione già con l'introduttiva “Alive”: un senso del beat che coinvolge il brano dal primo secondo, una tensione che aumenta piano piano, e infine l'esplosione, in un ritornello dalla chiara impronta eurodance, pronto a riversarsi nei vostri padiglioni auricolari. Come per dire che Namie Amuro è la diva del dancefloor, e se non avete intenzione di ballare tanto vale che rivolgiate il vostro interesse altrove. Lo stesso pattern “emotivo” designa nel complesso l'intera operazione, che però si diverte a scompigliare le carte in tavola in continuazione, giocando con tutte le potenzialità a disposizione di un sound tra i più articolati e sfaccettati nell'attuale panorama j-pop.
Dove si punta alla monodimensionalità del suono o all'eterno recupero senza carattere della straordinaria epopea shibuya-kei (l'attuale scena electro-pop, senza entrare troppo nello specifico), in “Feel”, connivente anche il buon numero di autori internazionali coinvolti, il raggio d'azione s'amplia a perdifiato, chiamando in causa perfino generi sepolti nella memoria collettiva. Nel bridge di “Hands On Me” si può quindi scorgere in filigrana, con un notevole spirito di adattamento, frammenti al rallentatore della drum'n'bass che fu, prima che si estinguano nell'ossessivo pulsare del refrain.

Simile negli intenti è il trattamento che coinvolge la balearic di “La La La”, sparsa tra le sapide incursioni caraibiche della melodia, mentre invece la nuova generazione dubstep (assimilato dai Giapponesi con un ritardo storico) affiora sulla superficie tra i ricami simil-glitch della fascinosa  “Rainbow”, scheletrico gioco di bilanciamenti. E non è tutto qui.
Tra spicciole citazioni alla più becera attualità k-pop (“Supernatural Love”, per la quale premere il tasto skip diventa un obbligo) e all'indispensabile piano-ballad di turno (“Let Me Let You Go”, nemmeno noiosa ma terribilmente prevedibile), trovano infatti posto numeri che in mano a signorine più giovani avrebbero fatto gridare al mezzo miracolo. Il brioso electro-funk di “Poison” non teme infatti nessuno tra i suoi corrispettivi occidentali (anzi, parecchi li supera in scioltezza), mentre il pungente singolo di lancio “Big Boys Cry” azzarda una coraggiosa - e peraltro vinta - alchimia tra minimali suggestioni dancehall e bizzarri campionamenti di flauto e altro ancora: uno schiaffo all'imbarazzante staticità espressiva della maggior parte delle sue colleghe, accentuato peraltro dalla scelta di cantare quasi esclusivamente in inglese.

In definitiva sì, hanno ragione tutti coloro che lo sostengono, a dire che “Feel” è un lavoro tremendamente commerciale; rispetto all'usato di lusso di dive in declino quali Ayumi Hamasaki c'è veramente tanto di che rallegrarsi.

24/09/2013

Tracklist

  1. Alive
  2. Rainbow
  3. Can You Feel This Love
  4. Big Boys Cry
  5. Hands On Me
  6. Heaven
  7. Poison
  8. La La La
  9. Supernatural Love
  10. Let Me Let You Go
  11. Contrail
  12. Stardust In My Eyes

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