Reduce dall'interessante colonna sonora per “Horror Business” e dal gradevole e sorprendente esperimento di contaminazione pop al fianco dell'ormai onnipresente Daniel O'Sullivan a nome Miracle, Steve Moore torna a casa. Giusto in tempo sullo scadere dell'anno ormai conclusosi, giusto in tempo per tirar fuori uno dei dischi più belli dello stesso e di sicuro il capofila del catalogo Spectrum Spools per il 2013. Un album di quelli colpevolmente lasciati indietro da chi, come il sottoscritto, fatica ormai a star dietro alla miriade di uscite che l'universo elettronico sottopone all'attenzione.
“Pangaea Ultima” è la perfetta coniugazione del synth-ambient che la sottoetichetta di Editions Mego curata da John Elliott sta esplorando in tutte le sue declinazioni, all'interno del patch sonoro di Moore, da sempre devoto alla storica scena ambientale californiana. Dunque suoni analogici avvolgenti e tiepidi sotto forma di colate liquide e dimesse, sempre radenti la superficie terrena, il tutto indirizzato verso un taglio sci-fi (ma senza omaggi al filone passato, tiene a specificare l'autore) legato al concept dell'album, che si propone di descrivere musicalmente il super-continente che formerà, secondo alcuni studi, la Terra fra due bilioni di anni.
È lo stesso Moore a citare i Tangerine Dream e Michael Stearns come riferimenti sonori principali: e il disco si colloca effettivamente in quel portale che collega i residui della Berlin School alla musica d'ambiente, infilandoci dentro pure un certo gusto per l'ambient-techno più morbida. Quest'ultima anima è protagonista assoluta di “Deep Time”, un viaggio in quel mondo segnato indissolubilmente nel 2013 da Recondite e dal suo “Hinterland” all'insegna di una purezza cristallina. La stessa è caratteristica portante di gioiellini come la marcetta “Planetwalk” e l'abbraccio liquido di “Nemesis”, vetta atmosferica dell'intero lavoro.
In altri passaggi, una nebbia soffusa accorre ad avvolgere il soundscape: già presente nella brulicante introduzione di “Endless Caverns”, si completa nella calata notturna di “Endless Mountains”, dopo che in “Aphelion” un processo di “purificazione” aveva portato al rifiorire degli arpeggiatori. Kevin Braheny è qui davvero a un passo, tanto che nella conclusiva “Worldbuilding” e nell'abbagliante title track sembra quasi di risentire i fasci luminosi a intermittenza di “The Spell”. Unica eccezione al clima è rappresentata dalla pungente “Logotone”, sorta di bizzarro pendolo per bassi e armoniche in tempi dispari un po' fuori luogo ma incapace di intaccare l'eccezionale atmosfera del disco.
L'arte di Steve Moore, fino ad oggi probabilmente non ancora riconosciuta nel pieno dei suoi meriti, tocca qui una delle sue vette più elevate, riuscendo finalmente a porsi come filo congiungente tra il glorioso passato dell'ambient music e una delle principali fra le sue espressioni contemporanee. “Pangaea Ultima” è un disco che merita di essere ricordato fra le vette ambientali dell'anno appena conclusosi, un lavoro in grado di tornare a mettere l'atmosfera al centro della ricerca sonora anziché relegarla, come troppo spesso accade oggi, a mero corollario. Uno di quei prodotti di cui la musica elettronica aveva e continua ad avere impellente bisogno.
05/01/2014