Ora uno dice: "Dai, ogni star ha i suoi capricci, se la qualità dei suoi lavori è di livello, gli si può perdonar tutto". Wiley però non rientra più tra questi casi, e da diverso tempo. L'atteggiamento da divo ormai si riflette pienamente nella sua musica, l'ingresso nelle Uk chart di "Wearing My Rolex" nel 2008 gli avrà messo un malcelato appetito, fatto sta che l'assetto con cui si presenta oggi in "The Ascent" è proprio quello sfacciato e disposto a tutto per conquistare il pubblico
mainstream (o perlomeno quello OWSLA). Altro che "new generation of grime", Royal T e le intelligenti dialettiche dance dell'ondata più giovane, quella di Wiley adesso è più
EDM che grime, "Reload" che fa il verso ai Nero è una caduta di stile imperdonabile, la deriva
trancey di "Lights On" è esattamente quel che gli amanti del lato brutto e cattivo del grime odiano profondamente e "Heatwave" è finita in cima alle classifiche perché è fondamentalmente una copia dei successi dei Black Eyed Peas (con tutto il rispetto per questi ultimi, che non di rado fan figure ben più dignitose).
Ci son modi e modi per avvicinare i nuovi fermenti e gli ascoltatori giovani. Dal "padrino" ci si aspetta una mossa più autorevole, che ribadisca a tutti l'orgoglio dell'appartenenza e della storia grime e sappia interagire di polso con certe tendenze moderne. Come ha saputo fare bene Terror Danjah nell'ultimo Dark Crawler, per intenderci. Come Wiley stesso dimostra di saper ancora fare in pezzi come "First Class", col rappato sporco e quelle distorsioni che in fondo son
drop, o la
old-school "Skillzone", o ancora, a voler esser buoni, anche "My Heart" con
Emeli Sandé, che offre il giusto mix tra sensibilità
funky femminile e energia dance maschile. Ma una ruffianata da stadio come "Hands In The Air" significa voler fare il Calvin Harris della situazione, e allora hai poco da far la voce grossa. Starai anche vendendo come non avevi mai fatto, ma agli occhi dei veri
grimers sei solo un traditore.