Alio Die un segreto ce l'ha. Non si può non arrivare a supporlo, dopo aver dato anche solo un rapido sguardo al suo sconfinato catalogo. Un segreto non tanto in grado di spiegare l'estrema prolificità – per chi segue da vicino il macrocosmo della musica atmosferica quella è poco meno di una costante universale – ma che giustifichi la sua inossidabile capacità di colpire nel segno. E con ciò si intende, semplicemente, il riuscire a costruire un mondo a sé stante attorno a ogni suo nuovo lavoro. Se non si tratta appunto di questo segreto, un asso nella manica per il continuo ricambio di idee che caratterizza la sua carriera è rappresentato dalla sua incredibile apertura alle collaborazioni.
Il caso di Bakis Sirros e del suo progetto Parallel Worlds, nato nel downtempo e da pochi anni convertitosi in toto al dark-ambient organico, in tal senso è emblematico. “Elusive Metaphor” è proprio la dimostrazione del processo enunciato in precedenza, già palesatosi nei convincenti parti condivisi con Ian Boddy e Dave Bessell rispettivamente nel 2011 e 2012. Due lavori non a caso successivi a quell'introduzione alla maturità che fu “Circo Divino”, il risultato, per certi versi ancora acerbo, della prima collaborazione proprio con Alio Die. Che oggi si rinnova raggiungendo finalmente lo spessore cercato.
Le metafore elusive, parafrasando il titolo, altro non sono se non sette step di un percorso che muove dall'oscurità verso l'etereo. Lasciando da parte i luoghi comuni legati al timore, alla serenità e, in parte, all'inquietudine, e cercando invece di farne esperienza autentica e intima di entrambe. I richiami post-industriali all'inizio di “Unspoken Shapes” si diradano così ben presto seguendo la voce di India Czajkowska per lasciare spazio ad un'ipnosi liquida. E anche i pochi spettri rimasti si smaterializzano tra gli accordi dello zither, i colori caldi e le stalattiti glaciali della successiva “The Dispersed Expectance”.
Il notturno di “Wordless Arcanum” si interroga invece sull'assenza di vita, inscenando un vuoto (non)-perpetuo pronto ad essere progressivamente riempito. Il primo elemento si materializza in “Dissolved Heaven”, dove la luce torna a farsi vedere sebbene ancora fioca e controllata dall'incedere marziale del ritmo. La conosciamo invece in forma pura nell'estasi di “Fragile Imagery”, prima che l'oscurità torni protagonista nell'angosciosa “Who We Are Not” e che gli elementi si mischino in un unicum arcano nel bel finale di “Roundabout Mirages”. Il cui titolo ci suggerisce che forse l'intero percorso sia stato nulla più di un miraggio. Un'unica metafora elusiva, appunto.
23/01/2015