Il verbo del post-hardcore continua a essere diffuso da nuove band rampanti: “Eighteen Hours Of Static” è il fulminante esordio dei (tanto per cambiare) newyorkesi Big Ups, la più recente grande rivelazione del settore. Un’opera prima che pone rabbia e furore al centro della scena.
E’ sufficiente l’ascolto dei due minuti e spiccioli dell’iniziale “Body Parts” per capire da che parti ci troviamo, con il cantato (sovente in modalità scream) del giovane Joe Galarraga in grado di creare la giusta catarsi, poggiandosi su aspri proclami mai banali che toccano temi quali l’apatia (un must del genere), la religione (“Atheist Self-Help”) e la tecnologia (“TMI”).
I suoni di Fugazi, Shellac e Jesus Lizard troneggiano ovunque, in undici tracce sparate come pallottole al vetriolo, che trovano l’unico diversivo melodico (ma pur sempre molto obliquo) nella memorabile “Wool”. In tutto fanno ventisette minuti, sconsigliatissimi ai deboli di cuore, che in qualche frangente definire devastanti (vedi il caso di “Little Kid”) è un eufemismo.
Meno interessanti quando la buttano sul punk-rock grossolano, decisamente superbi quando riflettono calligraficamente i giganti di area Dischord e Touch & Go, e “Goes Black” ne è un urticante esempio.
A giudicare dai video che girano sul Tubo, il quartetto ha già un buon seguito dalle proprie parti, ma “Eighteen Hours Of Static” sta ricevendo ottime recensioni, ed è plausibile che la sua fama possa incrementarsi in maniera esponenziale nei prossimi mesi.
Anzi, ci aspettiamo che molte di queste tracce diventino dei piccoli cult nel circuito underground contemporaneo. C’è poco da fare: i Big Ups hanno inciso il manifesto di una nuova stagione hardcore.
11/03/2014