I vent'anni abbondanti della carriera di Erik Wøllo si sono divisi in intervalli dalla regolarità variabile in periodi di enorme prolificità e pause, anche lunghe, di ricostruzione stilistica. Gli ultimi cinque anni possono essere considerati, a giudicare dall'ingente mole di pubblicazioni, facenti parte di quella che è forse la parabola creativa ascendente più proficua dal 1983 ad oggi. Un'esplosione che ha partorito quello che è forse il capolavoro della sua storia musicale - “Gateway”, quattro anni or sono – e una miriade di collaborazioni, fra cui quella con Steve Roach, decisiva per una tardiva consacrazione nell'Olimpo dell'ambient music.
Dopo il buon bollettino di “Airborne”, scorrevole omaggio al maestro californiano nella forma e tetto comune per entrambi i lati – quello più vibrante e quello più quieto – della sua musica nella sostanza, “Timelines” torna a mettere l'accento sull'atmosfera come già fu in “Gateway”, soffermandosi questa volta più sul ritmo che sulle dilatazioni. Il risultato è una sorta di potenziale contraltare al magnifico vertice datato 2010, che non ne pareggia l'insuperabile equilibrio fra morbidezza e struttura ma mette in luce alcuni degli apici del Wøllo melodista, tornando a vertere sulla miscela synth-guitar divenuta ormai marchio di fabbrica del sound del norvegese.
La partenza di “Inception” ingrana subito una marcia alta, suggerendo l'evoluzione delle sue ambient song e sfoggiando in tutto ciò arpeggi melodici dalla fluidità disarmante. “Blue Rondo” gli fa immediatamente eco, dilatando tempi e progressioni e prendendo un volo su cui si imbarca, poco dopo, anche la culla astrale di “Visions”. È impossibile non riconoscere qua e la qualche tocco ripescato da quel passato in cui Wøllo aveva più volte avvicinato i confini della new age, senza mai sfociare però nelle sue forme più banali e artificiose: l'impressione si concretizza nella culla zuccherosa di “Along The Journey”, negli arpeggi policromatici di “Color Of Mind” - qui pure Robert Rich si fa sentire – e nell'acquerello gracile di “Spirit Of The Place”.
Situato forse appositamente a centro scaletta, “Pathfinder” è invece il lungo pilastro ritmico su cui si reggono le diramazioni melodiche: un perfetto esempio di quanto Steve Roach resti in grado di influenzare la contemporaneità ambientale da più prospettive, nel caso specifico, quella tribale e trancedelica. In chiusura, al contrario, i tempi si distendono totalmente, allargandosi nel quadretto cameristico di “Timescape” e annullandosi di fatto completamente nello sciame sconfinato di “Ocean”.
Di conferme, oggi, Wøllo non ha certo bisogno, forte di uno status che si avvicina sempre più a quello di maestro e di assodata punta di diamante di un catalogo importante e prestigioso come Projekt: ben più stupefacente è la qualità media che le sue uscite, anche quando – come nel caso di “Timelines” - non si tratta di capolavori, continuano a presentare.
03/02/2014