La ragazza immortalata in posa ambigua e plasticissima sull'immagine qui sopra rivela in un colpo solo una tale quantità di spunti e temi para-sociologici di cui si potrebbe discutere ampiamente, non si trascendesse per forza di cose l'argomento strettamente musicale.
Il silenzioso tramonto della millenaria cultura asiatica - o quantomeno una sua radicale riconfigurazione, la confusione del post-globalizzazione, la vampirizzazione mediatica dei tratti culturali neutralizzati in slogan e stereotipi particolarmente economici. La materia è scottante, il piatto ricco e controverso.
Ma partiamo dalle presentazioni. Fatima Al Qadiri non è innanzitutto la ragazza in copertina (che è invece un lavoro della Shanzhai Biennial), ma un'avvenente kuwaitiana trapiantatata negli States. Cresciuta nel Medio Oriente dei boom economici legati a doppio filo con lo sfruttamento petrolifero, Fatima ha maturato ben presto un'idea “globale” di pop culture, grazie alla straripante pirateria mediatica del suo paese, che le ha consentito di nutrirsi dei canali Mtv letteralmente da ogni angolo del mondo (Cina, Singapore, Giappone, Europa, Usa) e di interessarsi alle tematiche socio-culturali, in particolare della radicale rivoluzione economica e sociale dell'Asia e del modo in cui l'Occidente guarda e rappresenta il suo continente.
L'austero flusso sintetico di “Asiatisch”, primo full-length dopo una serie di “concept” acustico-visuali rilasciati nell'ultimo biennio, passa in rassegna alcuni di questi temi, concentrandosi in particolare sull'immaginario cinese - auto-definendosi "sino-grime" - procedendo per indizi e distorsioni e mai per facili descrizioni. A partire dalla straniante apertura, “Shanzhai”: non è un déjà-vu ma è proprio una cover di “Nothing Compares 2 U”, farfugliata in un mandarino inventato.
“Szechuan” riassume forse al meglio la ricetta dell'opera, guidata com'è da synth in stato di nevrosi, ritmiche mutuate da un dubstep fantasma e convertite a mera funzione decorativa, cori gregorianamente severi e filtrati a mo' di commento ambientale.
Altrove sono invece i simboli a prevalere: “Wudang” rimanda inevitabilmente all'immaginario kung-fu largamente spremuto dalla cultura americana (non ultimo proprio dal Wu-Tang Clan) non fosse attraversato dalle liriche storpiate di “Peach Tree Tender”, antica poesia cinese, “Dragon Tattoo” allo stesso modo mescola stereotipo, tradizione e digitale in un sino-r&b moribondo e non di meno affascinante.
Tracce come “Hainan Island” e “Shanghau Freeway”, invece, spingono su un desolato digital-romanticismo senza tuttavia perdere una virgola di algidità, sfrecciando tra stupa al neon e tramonti riprodotti su led screen intrappolati tra giungle di acciaio e catene di shopping mall.
Disco atipico in più di un senso, “Asiatisch” è un lavoro incompromissorio che richiede partecipazione e ascolti attivi, in cui invece di risposte finite si nascondono nuovi e scomodi interrogativi. Se vi sorprenderà al momento opportuno, potrebbe anche capitare che ve ne innamoriate senza condizioni.
16/04/2014