Accantonate le innumerevoli pagine di soundtrack e piano-work, Craig Armstrong riprende il discorso interrotto anni fa, restituendo il suo genio lirico alla fruibilità della musica popolare.
“It's Nearly Tomorrow” è l’album che attendevano tutti i visionari romantici, delusi dalle ultime performance troppo introverse di Paul Buchanan e dalla mancanza di cristallina purezza delle creazioni avant-pop di elevata statura dei These New Puritans.
È come ritrovare un vecchio amico di cui hai avuto notizie sempre piacevoli e rincuoranti, ma le barriere del linguaggio e della comunicazione si sono modificate: anche se il racconto è lo stesso di sempre, ora è più ricco di calore e dolcezza, quella dolcezza che si ha paura di palesare per non essere accusati di essere degli inguaribili sognatori.
Il tessuto orchestrale che Craig Armstrong ha elaborato è ancora quello che metteva insieme situazioni neoclassiche e trip-hop ("Strange Kind Of Love"), quel lirismo da melodramma misto a briciole di minimalismo ("Tender") che non brama nuove incursioni o alterazioni psicotiche per rinnovare la sua magia. È una musicalità solida e malleabile, capace di garantire almeno migliaia di variazioni tonali ricche di spessore, una caratteristica che è valsa allo scozzese un ingiurioso 2.2 sulle pagine di Pitchfork, e che invece rappresenta la sua invidiabile peculiarità creativa.
Ma che importa se “It's Nearly Tomorrow” non sarà battuto in tutte le aste del giornalismo di grido o se la media delle recensioni su Metacritic non supererà l’ambito 7.5 o 8.2? Il terzo album “pop” di Armstrong è il più coeso e intenso che l’autore abbia mai realizzato, un disco dove non mancano perle dalla luce intensa e folgorante: basti solo per esempio l’eccitante duetto tra la riscoperta Jerry Burns e James Grant (“Powder”). Tutto l’insieme ha la continuità di un racconto letterario-filmico che non conosce sbavature di scrittura o di sceneggiatura, e anticipa future intrusioni nel mondo del serial-tv (“Lontano”) al sol fine di ampliare l’enfasi emotiva e descrittiva.
L'opera del musicista, più che interessata al sentimentalismo, è in verità incline alla lusinga della speranza e al respiro della poetica letteraria e cinematografica; una chimera che nel suo nuovo progetto l’autore agguanta spesso e volentieri e non solo nella gia citata ”Powder”, ma anche in “Dust” e “Strange Kind Of Love”, due esemplari di neoromanticismo tanto devoti al lirismo della musica classica quanto alle drammatiche escursioni poetiche di Victor Hugo. Nelle partiture strumentali raccoglie poi l'eredità di Morricone e Vangelis con creazioni apiche e trascinanti che hanno il profumo del classico (l'eccellente “Désolé”).
“It's Nearly Tomorrow” è una celebrazione eucaristica dove ogni elemento diventa rituale, con Paul Buchanan chiamato a far da gran cerimoniere in due frammenti cristallini e delicati come una foglia appena appassita (“All Around Love”), e nello stesso tempo intensi e sofferti come il finale di una storia d’amore impossibile (“It's Not Alright”). Tutte le performance vocali sono in verità preziose e mai superflue: l’acquisto più recente è Katie O'Halloran (già apprezzata nelle colonne sonore de “Il Grande Gatsby” e “The Golden Age”) che oltre alla trascinante “Strange Kind Of Love” si cimenta in atipiche prove vocali nella cupa e criptica “The Sun Goes Down In L.A.” (purtroppo inclusa solo nella deluxe version per iTunes).
Artefice di un unico album nel 1992 e co-autrice con Craig di “Is This Love” (resa nobile da Liz Frazer) Jerry Burns ritorna al centro della scena con due saggi di classe, ma resta Brett Anderson l’ospite d’eccezione del nuovo album del musicista scozzese: il matrimonio tra l’orchestra e la voce dei Suede rasenta la perfezione riportando ai fasti di “Dog Man Star”.
Innumerevoli le orchestre coinvolte nel progetto, dallo Scottish Ensemble a quelle di Praga, Londra, Los Angeles, Berlino, oltre che quelle di Finlandia e Svezia, ma il piccolo cameo di Vladislav Delay nella title track e le sue contaminazioni elettroniche sempre ricche di immacolato candore, sono l’ennesimo valore aggiunto di un album che si candida come lo spartiacque più netto della fruizione sonora di questo 2014.
“It's Nearly Tomorrow” non aggiungerà forse nulla di nuovo al macrocosmo produttivo dell’ultima decade discografica, ma la sua assenza ha lo stesso doloroso impatto di una mutilazione dell’anima, grazie a un idioma sonoro che ripropone la divisione filosofica di Schopenhauer tra il bello e il sublime. Non abbiate paura di lasciarvi incantare da queste delicate prelibatezze sonore: c’è un tempo anche per le emozioni in questo susseguirsi di file digitali e plastiche vintage tornate di moda.
20/11/2014