Richard Michael Hawtin nel corso della sua rispettabilissima carriera si è sdoppiato in due identità. La prima, quella di Plastikman, senz’altro più attenta a livello compositivo, la seconda, quella di Richie Hawtin, molto più recente, che gli ha conferito fama e un ruolo di vera e propria superstar tra i vari club e festival di tutto il mondo. Con questa sua nuova creazione, Hawtin prova a rispolverare il suo moniker “apripista”, che lasciò 11 anni fa poco dopo l’uscita del blasonato “Closer”, ritornando sulla sua prima scia più studiata con cui usci alla ribalta e che lo rese uno dei capofila della scena minimal-techno detroitiana.
"EX", pubblicato per la fedele NovaMute, è il frutto di una live-session di quasi un’ora registrata il 6 novembre dello scorso anno in occasione dell’International Gala del Guggenheim di New York, in cui l’uomo di plastica ha provato a sporcarsi le mani, tentando di scoprire nuove sonorità partendo da un excursus della sua carriera, o meglio, utilizzando le sue stesse parole, “EXcursion into the past EXploring the uncertainty of the future, EXpanding and EXtending the immersive atmospheres of my Plastikman project”.
Dispiace solo che la sua definizione non sia corretta del tutto, o per lo meno lo sia solo a metà. Per tutto la durata del disco, infatti, si ha la netta sensazione di essere a contatto con un prodotto che di certo ha recuperato (o meglio, ha tentato di recuperare) fascino dal passato, ma che di fatto si sia fermato esattamente lì, senza avere alcuna sfumatura particolarmente affascinante, lasciandoci nient’altro che sterile roba “già sentita”, vecchia. "EX", appunto, titolo e prefisso costante del disco (possiamo notare come l’intera tracklist sia costituita da tracce che iniziano tutte con il prefisso “EX-“) che assume paradossalmente una connotazione interpretativa, utile per rendersi conto non solo delle sonorità e delle idee stagionate presenti nell’album, ma anche per evidenziare un’intrinseca debolezza: una predominante ripetitività.
Tutto il disco suona un po’ come un’enorme pasta elettronica disorganizzata in cui non solo si rischia di rasentare la noia ( “EXtrude” forse il caso più esemplare), ma spesso di scadere nel banale: è il caso di ”EXhale”, pessimo calderone di 9 minuti intriso di fredde linee di synth architettate in modo non troppo originale.
Altrove il tentativo è quello di ripescare in maniera maldestra il vecchio sound, come dimostrato da “EXplore” ed “Expand”, che offrono ben poco più della semplice drum machine. Il momento più felice, o per meglio dire, meno triste, è “EXtend”, forse la traccia che meno ha a che fare con il resto del disco, che si sforza timida di giocare con i bpm alzando un po’ i toni, ma che riesce anch’essa a spegnersi, perdendo sul più bello brio e vitalità.
In generale, sono davvero solo istanti quelli in cui possiamo sentire qualcosa che anche lontanamente ci possa sembrare nuovo, o almeno piacevole.
Non arriva nulla di fresco nemmeno quando si echeggiano sonorità che strizzano l’occhio ai vari Claro Intelecto (“EXposed”) o al più recente Trentemoeller, l’influenza probabilmente più presente all’interno del disco. Possiamo ammirare solo il “coraggio” di Hawtin per questo tentativo riuscito male di recuperare lo spessore artistico di un tempo, che tra l’altro risulta essere ormai datato, chiedendoci se valesse davvero la pena dedicarsi a un’operazione di questo tipo.
20/10/2014