Morto questa estate Giorgio Gaslini (vergognosamente, la notizia non è stata quasi diffusa da nessuno), sono rimasti solo Enrico Intra (ormai anche lui anziano) e Stefano Bollani tra i pianisti jazz milanesi noti a livello internazionale. Bollani, sebbene abbia poco più di quaranta anni, ha già al suo attivo una nutrita discografia, non sempre felice dal punto di vista strettamente compositivo, ma decisamente buona sotto il profilo squisitamente tecnico. È tra l'altro una delle figure del jazz post-moderno che non disdegna di collaborare tuttora con personaggi del pop (dall'orrido Jovanotti in passato fino alla finta-rocker Irene Grandi) e di condurre un suo simpatico programma televisivo nazionale. La sua carriera maggiore, fortunatamente, è all'insegna del jazz. Insomma, Bollani sarebbe potuto diventare un antagonista di Giovanni Allevi, ma per nostra fortuna ha scelto saggiamente una strada diversa.
L'appellativo di "Chick Corea italiano" gli si addice alla perfezione, specialmente riguardo la sua tecnica pianistica. "Joy In Spite Of Everything", da poco inciso a New York con un affiatato quintetto comprendente il grande Bill Frisell, è la sua ultima fatica per la Ecm. Si tratta di una delle sue incisioni migliori, sebbene tra questi solchi non si inventi nulla di particolarmente nuovo o che non si sia già detto in passato, soprattutto guardando indietro tra il catalogo storico della label di Monaco.
L'album è pregno di brani ricchi di pathos come "Tales From The Time Loop" e di humor come "Easy Healing", con un Frisell che gioca a rifare il verso a se stesso. Altrove, la spiritosa "No Pope, No Party" è in pratica una variazione sul tema della storica "Bemsha Swing" di Thelonious Monk e l'hard-bop di "Alobar e Kudra" riecheggia quello rivoluzionario di Bud Powell. Lo spirito scanzonato del quintetto è evidente anche in "Teddy", dove Frisell cerca di imitare lo stile di Grant Green.
Assai più "standard" sono invece il jazz da camera di "Las Hortensias", memore del quartetto americano di Keith Jarrett degli anni Settanta e il lungo valzer romantico di "Vale". La title track, invece, pare presa di peso dal catalogo storico della Blue Note di Alfred Lion, essendo un impeccabile hard-bop dei tardi anni Cinquanta.
In poche parole, poca innovazione, ma un entertainment di gran classe. A Bollani spetta forse l'arduo compito di tenere alta la bandiera del nostro nuovo jazz.
20/09/2014