Per quei pochi fortunati che abbiano avuto il modo di apprezzare nel corso degli anni le sortite discografiche di Eleanor Murray, non risulta di certo una novità il fatto che la musicista americana abbia volta per volta spinto con assoluta consapevolezza i limiti della propria indagine autoriale, in un potente stimolo alla sperimentazione che di questi tempi è tutt'altro che merce a buon prezzo. Nell'arco dei tre album da solista, la sua arte ha ricevuto man mano profondi sommovimenti, in un percorso di ridefinizione, rielaborazione e ricostruzione che nell'eccellente “Bury Me Into The Mtn” ha toccato un traguardo di assoluto ordine, nello sviluppo di un linguaggio formale e armonico straordinariamente pieno e corposo nonostante la sua aura fortemente minimale, in evidente fuga da registri consolidati e con un'attitudine al crossover stilistico che sparuti colleghi hanno amministrato con così largo controllo.
L'ultimo capitolo della sua fruttuosa avventura artistica non sorprende quindi di certo per il fattore novità. In collaborazione con il fotografo GianLuca Bucci, impegnato tra l'altro in studi sull'ambiente e qui prestatosi anche come paroliere, “Journey Of Return”, pubblicato in formato esclusivamente digitale sotto l'evocativo nome Cavegreen, è lavoro che vede rinunciare pressoché del tutto alle calde cornici acustiche proprie del tracciato in solitaria, a vantaggio di un assetto smaccatamente elettronico, gestito con un'agilità e una flessuosità che non ha nulla da invidiare a progetti ben più avviati. Sempre tese all'essenza, eppure dense di innumerevoli accorgimenti e particolarità che rendono l'ascolto tutt'altro che un'esperienza lineare, le quattro tracce si piegano docilmente alle intense volute cantautorali della Murray, che nel processo di ulteriore scarnificazione compositiva e canora pare piuttosto aver trovato nuova linfa e profondità di cui rivestire la propria arte.
Dal forte afflato panico, teso a illustrare un rapporto più diretto con la natura, con disegni e schemi decisamente più grandi rispetto al nostro comune agire umano (fatto peraltro sottolineato dalla carica elementale dei vari titoli), l'Ep pone quesiti su quella sottile linea di confine tra il detto e il non detto, tra il personale e l'universale, in un tentativo di comunione e bilanciamento tra opposti, la cui opposizione in fondo non è poi così marcata. Accogliente, quasi premurosa nel trasporto, la voce di Eleanor colora dunque di pennellate delicate i tratteggi cristallini di “Earth”, cascata di diffrazioni e modulazioni sintetiche dalle pacate sembianze ambient-pop, ma non disdegna affatto contatti con tessiture ritmiche più marcate e decise, che addirittura osano scollinare in armonie dal delicato taglio dance, se si presenta l'occasione (“Clouds” e lo sbarazzino incastro tra i beat, che con qualche retaggio atmosferico in meno avrebbe potuto tramutarsi in suadente hit alt-pop).
Resta comunque la predilezione per un afflato marcatamente contemplativo, rilassato, per un'ispirazione che si estrinseca in monologhi sparsi, da pronunciare senza alcuna fretta, accompagnati dall'osservazione, mai idealizzata ma non per questo meno immersiva, di uno spettacolo a cui occhi e mente paiono sempre meno abituati. La notte è ancora giovane, ci racconta la Murray nel terzo brano: l'impressione, forte e vivida, è che sia piuttosto lei stessa a essere quella notte, forte di una freschezza e di un'identità artistica che di volta in volta mostra nuovi lati, nuove sfaccettature. La speranza è che al progetto Cavegreen venga data sufficiente possibilità di manovra per non arenarsi a questo, pur validissimo, incipit.
01/04/2015