Artefici di una musica pop ricca di humour ed eccentricità da cabaret, spesso emula dello stile parodistico di Frank Zappa e del pop trasversale di Todd Rundgren, il duo ha da molto tempo accantonato quella irriverente follia pop-beat che rese imprescindibili i primi due album.
Il diciassettesimo album dei They Might Be Giants prosegue nella mediocrità che li accompagna da fine millennio, ma con alcuni pregevoli incidenti creativi, che, posti in pole position, fanno per un attimo ben sperare, ma non sollevano l'album dalla mediocrità degli ultimi progetti.
“Erase” è senz’altro una delle canzoni più accattivanti e ruffiane del gruppo, e “Good To Be Alive” è uno di quei gioiellini che credevamo di non potere più ascoltare dal duo americano. Ma brani come “Underwater Woman”, “I Can Help The Next In Line” o “I’m A Conward” sono pallide imitazioni del loro passato, che solo i fan troveranno interessanti e rimarchevoli.
Quello che manca è una cura degli arrangiamenti che riesca a dare brio a canzoni ordinarie e mainstream come “Madam, I Challenge You To A Duel” o “End Of The Rope”, dove l’ironia e la teatralità sono assorbite in una dimensione pop troppo edulcorata.
Episodi come ”All The Lazy Boyfriend”, “Unpronouncable” o “Hate The Villanelle” somigliano a degli sketch di un comico sul viale del tramonto, che affida ai suoi cliché le ultime speranze di accattivare un pubblico sonnacchioso o fedele, ed è quasi ironico che il brano più divertente dell’album sia “Let Me Tell You About My Operation”, un classico swing alla Frank Sinatra, che nel contesto dell'album suona stridente e fuori luogo. Anche se la title track riesce finalmente a rispolverare l’ironia e il disincanto delle origini, è comunque troppo poco per poter parlare di una loro rinascita.
I They Might Be Giants sono passati definitivamente da una music for fun a una music for fan.
(17/06/2015)