È sera negli uffici della Tapete. Fuori fa buio. È quasi ora di finire la giornata. Poi, una mail. Oggetto: “Demos”. “Mi chiamo Ben Wilson. Ho scritto, suonato tutti gli strumenti, e registrato il mio nuovo disco su un 8-tracce da mezzo pollice. Qui c’è un link ai brani dell’album. Grazie, Ben.
(Presentazione ufficiale Tapete Records)
Ogni album leggendario ha bisogno di una
side story leggendaria, ed entrambe le cose, nel caso di Benjamin Dean Wilson,
sono leggendarie proprio come lui le avrebbe volute. Marginalmente poetiche, casualmente memorabili, come scoprendo improvvisamente la potenziale bellezza del quotidiano, disegnata in modo ridicolo e vagamente deprimente da un artista ben provvisto di senso dell’umorismo.
Storia d’altri tempi, ben si adatta a un album d’altri tempi come “Small Talk”, catino di impressioni fugaci e di scenografie Hopper-iane, di riflessioni fatte sopra il frastuono di un party privato, che si svolge dinnanzi a sé come un film muto.
“Small Talk” è un disco di sei brani torrenziali ed effimeri, quasi ipnotico nel rivelare la sua realtà di un’altra epoca, di telefoni a disco e dolcevita, che, come spesso accade nella letteratura e nell’arte che raccontano davvero delle verità, assume una veste ironica, scanzonata. Ma anche, nella quasi disperata lunghezza dei suoi brani, come attaccati a una storia che non si vuole abbandonare, si coglie tutta l’urgenza di raccontare.
Dal punto di vista della scrittura, i brani uniscono il
songwriting pop di
Cat Stevens e quello più istrionico e letterario di “
Destroyer’s Rubies” (“Rick, I Tick Tock”), spiegando nuovamente il senso del Nobel per la letteratura a
Dylan in “So Cool” e "My Wife". Le inflessioni baritonali,
Callahan-iane di “Sadie And The Fat Man” e “William” aggiungono ulteriore profondità al lavoro, dipingendo una realtà asciugata attraverso il filtro in chiaroscuro di un artista molto più navigato di quello che appare sulla carta.
Voler sapere di più di Wilson e del suo esordio è un corollario naturale, infatti, dell’ascolto di “Small Talk”: non a caso la pagina promozionale sul sito della Tapete ospita anche un’intervista all’artista, scelta abbastanza irrituale. Come nel famoso passaggio Salinger-iano, è naturale voler proseguire privatamente e periodicamente la conversazione iniziata con il “chiacchiericcio” di questo disco: un insieme di passaggi captati per caso, in grado di colpire nel segno, nel mezzo del caos.
12/01/2017