C'entra sicuramente il fatto che la camera da letto – dimensione minima del vivere quotidiano – rimane il mio luogo d'elezione, da solo o in compagnia, quale esempio concreto della più rassicurante intimità. Ma a parte l'immediata suggestione dell'essenziale copertina in stile Tamagotchi, anche soltanto ascoltando la voce di Emily Sprague – autrice e cantante dei Florist – non posso fare a meno di immaginarmela con le fattezze di Juno, l'eroina teen di Jason Reitman, con la coda di cavallo, la chitarra in grembo e un telefono a forma di hamburger sul comodino.
In parole povere, questo piccolo progetto lo-fi pop di Brooklyn mi prende musicalmente dal lato più tenero, ma senza peccare di leggerezza nella scrittura dei testi, che astratti dal loro contesto potrebbero sembrare il diario di una high school girl a serio rischio di depressione.
Le canzoni in miniatura del primo full-length dei Florist suonano come la descrizione del mio stato d'animo dominante – un buon 90% del tempo complessivo, al netto delle ore di sonno. Per questo trovo irresistibile la malinconia e l'arrendevolezza di Emily, sostenuta da un ironico istinto di sopravvivenza sul quale si affaccia sempre, come una marionetta da prendere a bastonate, il fantasma della signora Morte; come se le visioni tormentate di Phil Elverum fossero state processate da un filtro Instagram un po' sciocco, che però non banalizza il sentimento d'origine ma lo rende più digeribile, a noi come (soprattutto) a chi lo esprime.
In questo delicato contrasto risiede la particolare, non ovvia efficacia della formula: un songwriting fragile come la voce che lo interpreta e che, in maniera del tutto inattesa, arriva a consegnarci passi legittimamente inquadrabili nella poesia in prosa.
I was born a boy with many opinions and now I'm a girl who doesn't really care about anything. This beautiful thing happens every day it's called the sun, it's called my blood, and it's the only thing making us want to be alive. I'm really grateful for the people i've met but that won't make me die any less.
Emily gioca a carte scoperte, non cela l'ispirazione autobiografica e anzi sottolinea il suo tentativo di raccogliere e immortalare i brevi momenti di speranza, di sollievo e di riconoscenza nei confronti degli stessi Florist, non soltanto compagni di ventura ma legami affettivi forti e indissolubili.
Detto così potrebbe suonare naif, persino patetico, ma lasciandovi cullare dalle morbide ambientazioni alla Trouble Books non potrete far altro che ricredervi, riconoscendo tutta la sincerità di quegli umili intenti, di quelle parole a voi sussurrate come a un confidente esclusivo.
Sia che decidiamo di uscire ad affrontare il mondo o che ci trinceriamo nel rassicurante tepore della nostra stanza, è lì che torneremo sempre a cercare conforto, a far decantare i pensieri e distendere le membra, a scrivere piccole canzoni per esorcizzare l'incertezza del futuro e sforzarci di sorridere.
I thought that I saw the other side, but it was only sunlight in my eyes.
05/02/2016