"Ida Lupino", uscito da pochi giorni per la Ecm, rappresenta senza mezzi termini la vetta più alta raggiunta dal trentenne pianista folignate Giovanni Guidi. Già "City Of Broken Dreams" (Ecm, 2013) e, soprattutto, "This Is The Day" (Ecm, 2015) avevavo messo in luce il suo peculiare talento, quello di un ragazzo che aveva mandato a memoria la lezione di mostri sacri come Keith Jarrett e Paul Bley, ma che era capace di riproporre quelle storiche sonorità con un gusto tutto moderno e per nulla passatista.
Su invito di Manfred Eicher (che, evidentemente, pare credere parecchio in lui), Guidi ha riunito il suo amico trombonista Gianluca Petrella (di cui si segnala il buon "X-Ray", uscito per la Auand nel 2001, più altri discreti dischi di jazztronica) e due veterani jazzisti come il clarinettista francese Louis Sclavis e il batterista americano Gerald Cleaver. I due stranieri, per la verità, ricoprono qui i ruoli perlopiù di sessionmen, in quanto la musica è tutta farina del sacco dei due ragazzi italiani.
Le composizioni originali sono basate su improvvisazioni in studio, le quali fanno perno su dei semplici canovacci melodici. Tutto l'album è in felice equilibrio tra avanguardia e tradizione, come nelle ottime "Jeronimo", "No More Calypso?", "Fidel Slow" e "Hard Walk", in cui si propone una miscela musicale che non è esattamente "free", ma che non è neanche un facile e scontato jazz salottiero.
Dotato di un buon talento melodico, Guidi riesce a cesellare a dovere la triste e malinconica atmosfera di "Gato!" (dedicata al compianto Gato Barbieri, che ci ha lasciato proprio quest'anno) e di "La terra" (che si movimenta un po' solo verso il finale), così come le sofisticate ballad "Rouge Rust" e "The Gam Scorpions". La melodia circolare di "What We Talk About When We Talk About Love" è invece un piccolo capolavoro di scrittura di jazz moderno, tutto basato su tre accordi reiterati e protratti con spontanee variazioni. Ottime sono pure le trame minimaliste di "Just Tell Me Who It Was", che richiamano alla mente le pagine migliori di John Surman.
Molto sentiti sono poi gli omaggi a Paul Bley, con una bella versione di "Ida Lupino" (qui ridotta di tre minuti rispetto alla versione contenuta in "Open, To Love") e al cantautore militante Fausto Amodei con la ballata folk (di ispirazione marxista) "Per i morti di Reggio Emilia", qui trasformata in un brano altamente drammatico ed emozionante (e ben superiore alla canzone originale). Peccato per la totale assenza di note nel libretto, ma forse era proprio nelle intenzioni sia dei musicisti coinvolti che di Eicher stesso l'idea di far parlare unicamente la musica, senza alcuna introduzione.
Splendida è la registrazione di Stefano Amerio, cristallina e piena di profondità. A tutti gli effetti, questo tecnico del suono italiano è da considerarsi ormai come il nuovo Martin Wieland (mitico "sound engineer" tedesco che fece la gloria della Ecm negli anni Settanta).
Tra i dischi in uscita della Ecm è doveroso segnalare anche l'oscuro e tenebroso jazz sinfonico dell'arpista/pianista finlandese Iro Haarla con "Ante Lucem" e il ritorno sulle scene di uno storico batterista della stagione maggiore del free-jazz, Andrew Cyrille, con "The Declaration Of Musical Independance" (qui in ottima compagnia insieme a Bill Frisell e Richard Teitelbaum).
04/10/2016