Il giovane e promettente pianista umbro Giovanni Guidi (appena trent'anni d'età e originario di Foligno) ha probabilmente sbagliato epoca. Doveva crescere e suonare nei primi anni Settanta, quando il jazz da camera della Ecm iniziò a fare scuola in tutto il mondo. Ascoltando ad occhi chiusi i suoi dischi, in particolare gli ultimi due per la label di Manfred Eicher, potremmo giurare che si tratta di lavori incisi nel 1974 o giù di lì.
Scoperto da Enrico Rava, questo ragazzo di provincia approdò nel 2012 presso la prestigiosa Ecm, dove incise "City Of Broken Dreams", uscito l'anno seguente e che fece rispolverare i nomi di Keith Jarrett e di Bill Evans. Prima di quel disco, il trio di Guidi incise un disco di sole cover, "Tomorrow Never Knows" (Venus, 2006), composto da canzoni dei Beatles e persino di Brian Eno, dei Radiohead e di Bjork, rivisitate in chiave cool-jazz. "This Is The Day", fresco di stampa, altro non fa che proseguire con coerenza un discorso intrapreso ormai da qualche anno, tutto incentrato sul recupero di una melodia tardo-romantica rivisitata con l'estetica classica della Ecm dei tempi d'oro.
Chi cerca innovazioni nel jazz rimarrà amaramente deluso, ma Giovanni Guidi ha il dono del buon gusto e della misura. Non allunga mai il passo più della sua gamba (come fa, ad esempio, Stefano Bollani) ed è poi dotato di un tocco pianistico assai raffinato e moderatamente personale. Chi scrisse che il trio di Giovanni Guidi è paragonabile a quello storico di Bill Evans con Scott LaFaro e Paul Motian ha evidentemente esagerato di molto.
Calmando i facili entusiasmi, possiamo affermare che anche questo nuovo disco è un discreto lavoro che discende direttamente dal trio storico di Keith Jarrett (quello dei primi anni Settanta con Charlie Haden e Paul Motian), nobilitato da una registrazione assai cristallina (merito del tecnico del suono Stefano Amerio), che riesce a mettere in risalto le tonalità più soffuse (una vera goduria per gli audiofili).
I brani che aprono e chiudono il disco, "Trilly" e "The Night It Rained Forever", con il loro flusso di coscienza pregno di struggente romanticismo (e con una strizzata d'occhio persino verso alcuni vecchi dischi per pianoforte di George Winston per la Windham Hill Records), sono senz'altro gli episodi migliori. Per il resto, il disco procede senza particolari guizzi di sorta. E' tutto scritto e suonato secondo un collaudato copione (da "Carried Away" a "The Debate" fino a "Where They'd Lived", che sarebbero potute appartenere al primo Chick Corea o al Mike Nock più lirico), con le uniche eccezioni nelle timide sperimentazioni "free-form" in "The Cobweb", "Bailia" e "Migration", che sembrano messe lì appunto per spezzare un poco lo "stream of consciousness" (un po' risaputo) di tutto l'album.
Per il resto, il trio ha un buon "interplay" tra i singoli elementi, ovvero tra la sezione ritmica composta dal contrabbassista americano Thomas Morgan (un novello Gary Peacock, che abbiamo già trovato nell'ottimo "Mboko" di David Virelles e ora nell'atmosferico "Gefion" del chitarrista Jakob Bro) e dal batterista portoghese Joao Lobo con il pianoforte romantico di Guidi.
31/03/2015