Yorkston, Thorne, Khan

Everything Sacred

2016 (Domino)
folk, world music

E’ già accaduto che musicisti folk inglesi ampliassero gli orizzonti culturali in cerca della connessione primordiale tra Africa ed Europa, tra Est e Ovest. Se tra i grandi del passato il primo nome che viene in mente è quello di Danny Thompson, tra le figure contemporanee del folk il più versatile e curioso è senza dubbio James Yorkston.
Il musicista scozzese sembra aver concepito la sua carriera di musicista come un permanente corso d’aggiornamento culturale e musicale e la sua discografia è come un percorso a ostacoli ricca di alti e bassi creativi, ma mai banale o superflua; quello che non manca al quarantacinquenne di Kingsbarns è l’audacia.

“Everything Sacred” è il frutto della folgorazione emotiva che Yorkston ha provato al cospetto di Suhail Yusuf Khan e della sua abilità di suonatore di sarangi (uno strumento indiano ad arco). La presenza di Jon Thorne come terzo elemento del progetto conferma la volontà del trio di volersi rifare alla grande tradizione del già citato ex-Pentangle.
Per tutti quelli che stanno tremando al pensiero di un patchwork di stili o a un potenziale album di folk-etno-fusion, posso anticipare che in “Everything Sacred” non c’è nulla di convenzionale. Basta solo la splendida versione di “Little Black Buzzer” di Ivor Cutler per sconfiggere la prevedibilità di molte imprese affini: qui la voce di Lisa O'Neill duetta amabilmente con quella di James, mentre tra toni a volte oscuri e a volte bislacchi scorrono le pungenti parole del testo (“il mio sedere è freddo e il mio viso è bianco, e questo è il mio messaggio per te”).

Più che un'ibridazione folk etnica, “Everything Sacred” è un viaggio on the road in stile ECM nel quale tre musicisti innamorati della loro diversità culturale cercano un dialogo attraverso linguaggi e situazioni creative differenti e atipiche.
C’è un’energia quasi selvaggia in alcune pagine dell’album, ma non dimora nella tricromia dell’iniziale “Knochentanz” (unico brano composto insieme). Semmai si nasconde nel continuo gioco di scambio delle parti che i musicisti mettono in opera per evitare che “Everything Sacred” assuma le caratteristiche di un miscuglio pop-folk dai contorni turistici.
Yorkston trascina Suhail Yusuf Khan nel suo blues “Broken Wave”, coinvolgendo solo il suo talento vocale, Jon Thorne nella title track rinuncia alla sua arma principale (il contrabbasso) affidando le trame liriche della sua composizione alle voci e agli strumenti dei compagni d’avventura. Anche il musicista indiano mette poesia e musica della sua terra a disposizione di Yorkston e Thorne, trascinandoli nel misticismo poetico di “Sufi Song”.

Ovviamente “Knochentanz” resta la pagina più innovativa dell’album: tredici minuti in continua evoluzione tra musica indiana, folk pastorale, psichedelia e ritmi anomali, un brano che alterna toni descrittivi a furiosi incroci strumentali tra contrabbasso, sarangi e chitarre che duellano senza esclusione di colpi prima di lasciare il campo al canto rituale di Khan, per poi perdersi nuovamente in spazi lisergici dove il patrimonio culturale collettivo si annulla e assurge a nuovo linguaggio.
Che il trio poi si diletti a fare di “Song For Thirza” di Lal Waterson il cuore molle di “Everything Sacred” è solo un altro esempio di quello che vi attende, ovvero uno sfavillante e raffinato mix di lirismo folk e atonalità, il cui intento non è quello di fungere da delicato sottofondo ai documentari di Discovery Channel.
Un album non facile, ma senza alcun dubbio uno dei candidati al consuntivo di fine anno.

19/02/2016

Tracklist

  1. Knochentanz
  2. Little Black Buzzer
  3. Song For Thirza
  4. Vachaspati/Kaavya
  5. Everything Sacred
  6. Sufi Song
  7. Broken Wave
  8. Blues Jumped The Goose




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