Oltre le luci soffuse e il mood chiaroscurale che circoscrivono i brani, non di rado impregnati in un sostenibile torpore, non mancano allora gli spunti strumentali degni di nota. Il giro di organo di "Cutting Shapes", che evoca scenari settantiani, ne è la massima testimonianza, mentre i tasti vanno a fare da sfondo nel più diretto attacco di "Just Like That", una marcetta psych che si dissolve nella grazia dolciastra del ritornello.
Le lievi atmosfere di "Monday Tuesday" sortiscono un effetto migliore rispetto alla più insipida ballata "Stupid Things", mentre il reggae metropolitano e agrodolce di "Don't Go Back At Ten" rappresenta al tempo stesso la summa stilistica e il capitolo angolare di questa sostanziosa opera prima.
Sostanziosa, senza dubbio, ma forse troppo. Procedendo nella scaletta si incrociano capitoli meno riusciti, dal funk interlocutorio in cui va a plasmarsi "A Few Months", tra miraggi esotici e più consoni omaggi velati a un Doherty, a una "Where Am I Now" che ripesca le istanze già incontrate in precedenza, fino ai cambi di tempo di "Ghosty" che provano a variare - anzi, a rimescolare - il tema senza raggiungere i picchi melodici di altri pezzi. L'impressione è insomma che se le Girl Ray avessero presentato una scaletta più breve, probabilmente staremmo parlando di un esordio a tutti gli effetti importante.
(01/11/2017)