Prima ancora che le fanfare annunciassero al mondo il ritorno di Randy Newman, da tutte le parti del globo si sono messe in moto firme illustri della carta stampata e del web. L’occasione è in verità ghiotta: “Dark Matter” è il primo album del musicista americano, dai tempi di “Hark And Angels” (2008), che non sia legato a un progetto cinematografico, un disco che nasce in un momento molto particolare per l’America, quell’America che nessuno ha saputo raccontare con maggior sagacia e cinismo del settantaquattrenne di Los Angeles.
Randy Newman ha avuto il pregio di osservare la sua patria da un punto di vista non sempre politically correct, mettendo alla berlina politica e società attraverso le debolezze e le sottili perversioni sia dei potenti che della gente comune, senza mai cedere ai facili moralismi, accompagnando il tutto con un'originale miscela di rhythm & blues, swing, New Orleans sound, folk e musica orchestrale, che ha marchiato indelebilmente la storia della musica americana.
La promessa di includere una canzone su Donald Trump (poi esclusa) e la presenza di un brano chiamato “Putin” ha stimolato anche la curiosità di chi conosce ben poco del compositore americano, generando un fiume di parole ricche di riverenza, pronte a dileguarsi all’avvento della next big thing.
L’album sembra spezzare la lunga serie di colonne sonore, ma in verità è l’ennesima colonna sonora: questa volta il soggetto non è una fantasia disneyana ma la vita del suo autore, pronto a cimentarsi nella sua opera più ambiziosa e fragile.
A dispetto delle attese, “Dark Matter” non è un album impudente o eccessivamente cinico, al contrario è molto introverso. La crisi politica internazionale e i suoi protagonisti si mescolano con alcune delle riflessioni più intime e personali che Newman abbia mai scritto, passando con leggerezza e grazia dal senso della vita a quello della morte.
Il breve musical in otto minuti di “The Great Debate”, che apre “Dark Matter”, mette in fila alcune riflessioni su politica, religione e scienza, incastrandole in una delle pagine più ricche e articolate dell’album. Con un fulgido mix di gospel, blues di New Orleans, pop-rock, film music e citazioni di musica classica, Newman offre un compendio lirico e musicale che rasenta la perfezione.
A questo punto non sarebbe necessario proseguire oltre, quello che il nuovo album del musicista americano può offrire è in verità tutto concentrato nella succitata preghiera atea, ma a volte la musica è come le ciliegie, una canzone tira l’altra e ti ritrovi alla fine con l'ultimo nocciolo in bocca, in attesa di averne delle nuove tra le mani.
Le nove tracce sono ricche di quel gusto dolceamaro che non ti lascia mai sazio, il tocco magico del musicista americano è ancora intatto; con il solo ausilio di piano, voce e orchestra, Randy racconta passato e presente con il piglio di una big band (“It's A Jungle Out There (V2)”) o con il candore quasi imbarazzante di un musicista di periferia, come quando sulle note prime classicheggianti e poi esotiche di “Brothers” immagina un discorso tra John e Robert Kennedy sulla magia della musica di Celia Cruz.
Se vi state chiedendo dove sia finito l’autore di album come “12 Songs”, non preoccupatevi: l’intimismo struggente di “Lost Without You” e “Wandering Boy” non teme il confronto con il passato, consolidando il mood introspettivo di “Dark Matter”.
Nell’universo artistico del geniale compositore americano le atmosfere sono sempre contestuali ai testi, in “Putin” sembra quasi che ad accompagnarlo sia un’orchestra russa, mentre per un altro gioiellino di poesia e intimismo come “She Chose Me” la musica scivola su toni romantici da vecchia Hollywood, completando un ritratto lirico dove per la prima volta Newman parla delle sue fortune sentimentali e della vecchiaia, senza rinunciare alla consueta dignità e sobrietà artistica.
Il resto dell'album scorre tra arrangiamenti a volte demodé (“On The Beach”), o perfino esuberanti, come nell’omaggio alla figura del grande bluesman Sonny Boy Wiliamson (“Sonny Boy”): un brano che peraltro non fatica a entrare nella lista delle migliori canzoni del repertorio di Newman.
Alla fine sono consapevole di essermi fatto trascinare dal fascino di un ritorno atteso e quasi imprevisto, questa però non è in verità una recensione, ma solo un racconto dell’ennesimo atto d’amore di un grande musicista nei confronti del suo pubblico, ma soprattutto nei confronti della musica. Grazie Randy.
23/08/2017