Bambole tristi, ossessioni, introspezioni, scenari desolati, polvere e scheletri che animano i nostri incubi, fiori ribelli, fiori del male, disillusione. Prendete i Tindersticks e incrociateli con il Nick Cave più notturno e sofferente: otterrete la miscela tanto ricercata dai Deat Cat In A Bag nel loro terzo lavoro, che segue l’esordio “Lost Bags” (2011) e il successivo “Late For A Song” (2014). Inizialmente concepito come un trio formato da banjo, violino e synth, il gruppo piemontese è andato gradualmente allargandosi a vero e proprio progetto aperto, accogliendo una moltitudine di strumenti, sia tradizionali che inusuali, con numerosi ospiti pronti a prestare il proprio contributo, fra i quali questa volta spicca il nome di Carlo Barbagallo.
Il mood è quasi sempre tenue, ma qualche affondo elettrico arriva in una “Thirsty” sputata a denti stretti - dove la melodia affidata agli archi rasenta il noise mentre la struttura chitarristica sforna power chord - e verso la metà di “Waste”, quando la matrice klezmer muta in bluegrass e il brano si trasforma in una danza indiavolata. Se in “Not A Promise” le note di una tromba, leggiadre, spezzano una trama tanto dolente da divenire quasi insostenibile, altrove non si scorge alcuna speranza di redenzione, come nella drammatica ode “Le vent”, resa in francese, che, impostata su organo e theremin, attinge a piene mani dalla tradizione cantautorale transalpina.
I Dead Cat In A Bag ci instradano verso un incubo senza fine, velato di quella tristezza che mai abbandona le liriche, risplendendo nei suoni (in minore) e lacerando il cuore dell’ascoltatore. Dietro l’angolo immaginiamo la sagoma di Jason Molina, per l’approccio dolente e l’insofferenza feroce, consumatrice persino dell’ultimo alito d’ossigeno, l’indispensabile per non soffocare. Le emozioni, anche quelle (provvisoriamente?) positive, lasciano il campo libero a un dolore alimentato da un lutto che lievita dentro minando ogni cosa. Capaci di strane mutazioni genetiche, mai scontate, sparigliano spesso le carte in tavola, come quando i minimali sentieri acustici di “Muneca” sfociano in una “The Voice You Should’t Hear” capace di virate radicali attraverso ferine manipolazioni elettroniche, per poi rigettarsi fra le placide corde di “The Place You Shouldn’t Go”.
Arsi dal sole in “Promises In The Evening Breeze”, rotondi in “Mexican Skeletons” (con chiusura fra mariachi a balcanica), ovunque multiculturali e poliglotti, i Dead Cat In A Bag mostrano personalità anche quando lasciano da parte il materiale autografo per affrontare una cover intoccabile, “Venus In Furs”, che nelle loro mani si fa ancor più disperata. La voce di Luca Swanz Andriolo – protagonista nel 2017 anche di un apprezzato debutto solista - permea tutto con quel tono rauco e tenebroso, a tratti gravemente tormentato (“The Clouds” pare contenere tutto il malessere del mondo), appoggiandosi su trame sonore dal taglio finemente cinematografico. “Sad Dolls And Furious Flowers” sarà ricordato come uno dei dischi italiani – sì, è un disco italiano - più intensi dell’anno: sarà sale sulle vostre cicatrici.
27/06/2018