Qualcosa dovevano pur fare, Warren Fischer e Casey Spooner, per arginare quel calo di ispirazione che erodeva consensi e aumentava le critiche alla loro creatura, dopo l'esordio al fulmicotone di "#1". I Fischerspooner di "
Odyssey" infatti erano già posizionati sulla difensiva, intenti più a gestire il successo planetario derivato da "Emerge" che non a cercare nuovi percorsi artistici, mentre il terzo "
Entertainment", più canonicamente synth-pop, faceva scattare la spia rossa della riserva.
I due, quindi, messo saggiamente il marchio in modalità
stand-by, in questi lunghi 9 anni hanno pazientato, riordinato le idee e alla fine deciso di ripartire con un
coup de theatre, affidando la produzione del nuovo materiale a Michael Stipe, che sta all'
electrodance come i cinesi al calcio.
Secondo quanto rivelato dai protagonisti, la scelta di affidare il comando delle operazioni all'ex-leader dei
Rem non è casuale, ma avviene al termine di un percorso personale che nasce nel 1988, ai tempi di "Green", quando il giovane Spooner arriva in Georgia per studiare arte e recitazione all'Università di Athens. Un primo incontro in disco, e in breve diventa il
boyfriend di Stipe, all'epoca
frontman capellone di un gruppo molto promettente, già parecchio conosciuto e che da lì a poco avrebbe fatto il botto, ma ancora senza i riflettori puntati addosso e la necessità di fare alcun
outing.
Soddisfatta questa premessa/curiosità spiccia, in realtà un primo intreccio musicale tra questi due mondi così apparentemente distanti lo troviamo già nel 2009 quando nell'edizione digitale di "
Entertainment" viene inserita una
ballad, "Fascinating", scritta dai
Rem durante le sessioni di "
Reveal" e poi esclusa dalla
tracklist.
Oggi, viene spontaneo chiedersi cosa abbia portato in dote Stipe a questo matrimonio artistico. Sicuramente ha messo becco nei testi (nei
credits è menzionato come
co-writer), probabilmente ha inciso su qualche melodia - in effetti ci sono più aperture melodiche qui che in tutti i loro vecchi lavori - ma viene parecchio difficile immaginarlo alle prese con modulari,
drum machine e altre diavolerie elettroniche, come un qualsiasi
producer smanettone. E' probabile che a spingerlo sia stata la voglia di tornare in pista dopo sette anni di "cazzeggio" conseguenti allo scioglimento della band, e pure la curiosità di cimentarsi nel ruolo di coordinatore esecutivo di un progetto altrui.
Una sorta di vecchio saggio, un guru, un santone, fate voi, insomma, che dispensa idee e consigli dall'alto della sua trentennale esperienza nel
music business (sia mai che il lungo barbone col quale viene immortalato nelle
photo session più recenti lo porti a calarsi meglio nel ruolo), ma anche uno stimolo in più per artisti, collaboratori e musicisti a tirare fuori il meglio in studio di registrazione.
Non a caso parliamo di un album molto più cerebrale rispetto alla discografia pregressa dei
newyorkesi.
Nel merito, umilmente, dissentiamo dalla pletora di recensioni oltremanica e financo italiane, che lo descrivono come un lavoro che si regge in piedi solo sui singoli.
In realtà le magagne (molto poche) non derivano dalla discrepanza qualitativa di cui sopra, ma dalla sua eccessiva lunghezza: 13 tracce son troppe, soprattutto quando le migliori si concentrano nella prima metà.
Chi scrive ha sempre pensato che il disco pop ideale debba contenere 9 barra 10 canzoni: così strutturato, "Sir" sarebbe stato perfetto.
Al di là di questo, che comunque non incide sulla valutazione complessiva, i Fischerspooner non si limitano al compitino, e cioè giocare con l'
electrodance o
electroclash che dir si voglia.
Ascoltiamo infatti paesaggi sonori cupi, quasi darkeggianti, trame R&B che si spingono fino a venature soul (e qui c'è lo zampino del co-produttore Boots, già con Beyoncé tra gli altri), elettronica
minimal da club, ritmiche sincopate e cadenze che in alcuni casi sfiorano il
dubstep.
Si diceva delle aperture melodiche, che per esempio nel singolo apripista "Togetherness" ti fanno sobbalzare perché voli di fantasia a un
mash-up col dream-pop degli
XX, o magari ritorni a certe atmosfere dei Dream Academy (dedicato a chi è cresciuto musicalmente negli anni 80).
"Everyting Is Just Alright" è la "Emerge" di questo promettente inizio di 2018, e le notevoli "TopBrazil" (titolo preso in prestito dal
nickname di un utente Grindr) e "Have Fun Tonight" rappresentano tutto quello di buono che ci si aspetta da una canzone dei Fischerspooner.
Ma c'è dell'altro a tenere il livello compositivo su alti livelli. Per esempio, una notevolissima "Strut", che poggia sulla
bass line con ricami chirurgici di synth e un incedere
spoken word, e si evolve in linee e timbriche vocali che se ci immaginate Michael Hutchence otterrete quello che gli
Inxs sarebbero per assurdo potuti diventare con una produzione elettronica moderna all'altezza, se il destino non avesse deciso diversamente.
Non è da meno l'
opener "Stranger Strange" con sonorità vagamente industrial e atmosfere cupe e claustrofobiche in pieno
gothic style. Sarebbe potuta essere tranquillamente in un album dei
Nine Inch Nails cantata da Reznor.
E persino l'R&B basico e ammantato di elettronica minimale con dissonanze ritmiche di "Discreet" e di "Butterscotch Goddam". Che dire poi del
downtempo di "Get In On", che parte quasi in sordina e cresce in un tripudio di synth e percussioni a sostenere la catarsi di una voce potente, che ripete come un mantra "Who would have known we’d get it on?”
.
C'è spazio anche per un affresco eighties di due minuti, "Dark Pink", coi Fischerspooner che si travestono da Erasure 2.0 per omaggiare Andy Bell che con Spooner condivide la battaglia per i diritti degli omosessuali, nonché una certa qual stravaganza nei costumi e nel look sul palco.
I testi, autobiografici e molto diretti, raccontano di avventure spagnole e vacanze romane, sadomasochismo, fugaci incontri notturni nei bordelli, erotismo, sofferenze emotive e storie di sesso nate in chat gay. In sintesi, un cronologico di questi ultimi anni di Spooner dopo la fine di una relazione che durava da un vita. E ogni brano è un'istantanea di una situazione realmente vissuta, "con l'obiettivo di inquadrare e rivelare, agli occhi dei fan, Casey come personaggio umano nelle sue debolezze, e non un robocop sessuale", dice Stipe in una intervista recente.
"Sir" meriterebbe 8 in pagella se non fosse appunto per qualche episodio superfluo, ma è disco che cresce con gli ascolti, un po' come la barba di Stipe.
Con la speranza di vedere presto le eccentriche e provocatorie live performance di Spooner anche da queste parti.
24/02/2018