Viaggiare in tour con una band non è facile di suo: se poi quella band sono gli Swans – con rituali live di almeno due ore e mezza – e ci metti anche l’età che avanza, giungere a un momento di pausa e riequilibrio personale finisce col sembrare un inestimabile privilegio. L’attuale incarnazione della creatura di Michael Gira è giunta a compimento e conclusione, e così anche lo storico chitarrista Norman Westberg è tornato a coltivare la propria ricerca in solitaria, dall’approccio sensibilmente più graduale e introspettivo.
Dopo le ristampe su Room40 degli album autoprodotti “13” (2013; 2015) e “Jasper Sits Out” (2014; 2017), il patron Lawrence English interviene qui anche in sede di produzione, assistendo in prima persona il chitarrista durante le sessioni in studio. Se i lavori precedenti si basavano essenzialmente su loop e sovraincisioni in diretta, ponendosi di fatto alla stregua di performance dal vivo, “After Vacation” si configura come uno sforzo compositivo più organico e strutturato, nel quale alla stratificazione additiva si sostituisce un sound design più raffinato e sottilmente atmosferico.
Viene anzi naturale considerarlo un album collaborativo, in maniera simile a quello realizzato da English assieme a Thor Harris e Conor Walker (“Walker Harris English”, 2017), laddove lo sperimentatore australiano contribuisce a “orchestrare” i gesti musicali registrati da Westberg con effetti di delay, riverbero e altre risonanze artificiali amministrate con coscienziosa parsimonia.
Non vi è dunque segno delle densità drone tipiche del primo, quanto di certo la sua cura nell’armonizzare i distinti livelli sonori in suggestive visioni d’insieme, i cui titoli programmatici forniscono un appiglio eventuale – ma non strettamente necessario – per l’immaginazione uditiva.
Così, nella prima parte, la tracklist attraversa desolate astrazioni che evocano la placida costanza di gocce che atterrano in un secchio (“Drops In A Bucket”) o il fosco ritratto di una gioventù che troviamo difficile figurarci, abituati alla torva e statuaria presenza di Westberg sul palco (“Norman Seen As An Infant”), tra arpeggiati e scorrimenti sulla tastiera resi omogenei dalla loro stessa eco (“Sliding Sledding”).
Episodi che, a dire il vero, non posseggono identità particolarmente distinguibili ma piuttosto costituiscono le sfumature di un soundscape complessivo, digradante da un iniziale scurismo verso un’opaca luminosità nei due movimenti finali, sino al fraseggio in tonalità maggiore della title track, ultimo stralcio di una pacificazione perseguita spontaneamente ma con pazienza, evitando di forzare la mano per arrivare a raggiungerla.
L’esito del progetto non soddisfa del tutto le aspettative, nonostante la consueta cura certosina nel mastering e nel plasmare quella grana sonora che rappresenta il trademark di Room40. La via solista di Westberg appare sempre più chiaramente come un personale rifugio dalla spossante militanza negli Swans: ma se in quest’ultima permane il privilegio di essere componente viva di una cerimonia solenne e totalizzante, in sede autonoma sembra realizzarsi un antidoto fin troppo diluito per soddisfare pienamente un soggetto diverso dal suo fautore.
14/07/2018