Parte con un proclama il dodicesimo disco in studio nella carriera degli Who, o quantomeno della metà sopravvissuta fino oggi. In "All This Music Must Fade" Roger Daltrey e Pete Townshend sembrano voler reclamare una minore saturazione musicale: troppe uscite ogni settimana disperdono l'attenzione e non lasciano spazio all'approfondimento che l'arte delle sette note richiederebbe. A tredici anni da "Endless Wire", e raggiunta da tempo la terza età, i due highlander del mod (occhio alla copertina densa di riferimenti) si fanno accompagnare da grandi musicisti amici, fra i quali Pino Palladino, Zack Starkey e Matt Chamberlain.
Barcollano ma non mollano Roger e Pete, lasciando stemperare la malinconia d'antan di "I'll Be Back" nel blues di "Ball And Chain" (rilettura di "Guantanamo", brano già edito da Townshend come solista), nella modernità alt-pop di "I Don't Wanna Get Wise", nel country-folk di "Break The News" e nelle atmosfere latine (!!!) di "She Rocked My World". Ma in questo immane sforzo compiuto per apparire eternamente giovani non si scorgono momenti in grado di incuriosire nuovi adepti, sebbene l'impeto e gli assalti chitarristici dei bei tempi ("Street Song", "Rockin' In Rage") non risultino mai fuori tempo o fuori luogo, bensì sinceri e veraci.
La versione base di "Who" si sviluppa in undici tracce, ulteriori tre (molto trascurabili) arricchiscono la deluxe edition, fra le quali "Get Nothing To Prove" venne registrata per la prima volta nel 1966, scartata e tenuta nel cassetto (qualche motivo ci sarà pur stato...) fino a pochi mesi fa.
Il disco, nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione, ha raggiunto la seconda posizione in Stati Uniti, Canada e Scozia, la terza in Inghilterra, la quinta in Germania e Svizzera. Un lavoro inequivocabilmente indirizzato a chi continua a conservare un incancellabile amore nei confronti degli Who, quei fan che - visti i numeri - non intendono abbandonarli in quella che potrebbe essere ricordata come la loro ultima avventura artistica.
13/01/2020