Il nuovo disco di Bugo emerge da una cortina fumogena di scazzi in diretta televisiva sanremese con tutta l'aria di voler sancire l'inizio di una seconda fase nella carriera del suo autore. Sono serviti vent'anni, a Cristian Bugatti, per abbandonare il sottoscala dell'it-pop in cui stazionava pionieristicamente fin da quando il termine non era ancora nemmeno un'ipotesi, ed è servito Sanremo per fargli capire che era giunto il momento di sporcarsi le mani con la popolarità, proprio a ridosso del passaggio alla Mescal.
Sono serviti vent'anni, a noi, per attraversare il guado della sua lucida naiveté e riconoscere che Bugo non è mai stato veramente né alternativo né mainstream, ma al momento opportuno ha saputo giocare bene entrambe le carte.
"Cristian Bugatti" fa la sua incursione sotto le luci della ribalta nazionale passando per le forche caudine della collaborazione con Morgan ("Sincero"), a causa della quale un testo che nasce per mettere al centro l'amicizia diventa l'inaspettato e totalizzante racconto della sua fine (il video del litigio sul palco ha fatto il record italiano di visualizzazioni nelle prime 24 ore), ma regala spunti decisamente più interessanti lungo le nove tracce che lo compongono.
Sono westernazioni 100% Bugo quelle che troviamo già a partire dall'iniziale "Quando impazzirò" ("Come il matto al parco/ Giovanna d'Arco/ Offrimi un elettroshock/ Scemo oppure genio/ Merito un bel premio/ O solo il manicomio"), mentre un riff orientale si staglia su un arrangiamento balneare prima di arrivare al riuscitissimo ritornello ("Però ti voglio bene, tanto bene, che nemmeno un cane/ E io ti avrei sposato/ L'altra sera in macchina/ Grattare ancora il tuo citofono/ Per farmi dire di no").
Fa riferimenti al suo passato da provinciale, Cristian, nella divertente "Al paese", mentre ricorda che "Eri bellissima/ Con il vestito verde di tua madre/ Quando guardavi l'autostrada/ Dicevi me ne voglio andare/ Dal paese", oppure "Il cane fa pipì sul monumento/ Tutti sanno qui che ci pensa il tempo/ Si fa i signori a inizio mese/ Al paese", confermando che si può essere laterali a qualunque descrizione stereotipata, con un po' di ironia bislacca, qui perfettamente incastonata nella struttura melodica.
Diventa sottilmente profetico in "Che ci vuole" ("Che ci vuole a tirarsela un po'/ Basta dire che Sanremo fa cagare/ Che ci vuole a diventare famosi/ Basta un vaffanculo in tv") rimanendo sempre saldamente attaccato a un responso sonoro che cerca il consenso radiofonico (anche grazie a una produzione colorata e mai plasticosa) e convincendo come non accadeva dai tempi di "Contatti", senza deturpare la facciata del personaggio.
Sarà presumibilmente il prossimo singolo, invece, l'altro featuring del disco, quello con Ermal Meta, che risulta più sanremese di tutti gli altri episodi messi insieme (compresa la somiglianza del timbro vocale di Bugo con quello di Biagio Antonacci) e tratteggia l'eterna lotta tra la voglia di diventare grandi e quella di non crescere mai ("Avevo voglia di giocare con te/ A chi sputa più lontano/ Rompere i vetri delle fabbriche/ Farci sgridare da qualcuno/ Ah, che noia essere grandi/ Andare ai compleanni/ Parlare di soldi e dei figli degli altri").
Nell'insieme, non c'è nulla che esuli dalla poetica sghemba del Bugatti in questi testi che si siedono comodi nell'immediatezza melodica, mentre è tangibile la sensazione di crescita legata all'aver trovato una collocazione più gratificante in termini di carriera, una sorta di punto di arrivo.
In ogni caso, a quarantasette anni, la precisa ammissione di "Sono un alieno" ("Che ci faccio su questo pianeta/ Sono un alieno/ Ma non mi dite che questa è vita/ Tra le zanzare e ritmo latino/ Il cocktail con l'ombrellino/ Sono un alieno") risulta ancora il ritratto più onesto possibile, al di là del riscontro nazional-popolare. Alla fine, Bugo è ancora tutto lì.
13/02/2020