Progetto dalle infinite accezioni culturali, quello di Giorgi Mikadze: ricco di valenze artistiche sia dal punto di vista tecnico che antropologico, forgiato con sapienza artigianale con la collaborazione dell’esperto chitarrista David "Fuze" Fiuczynski, abile innovatore e sagace conoscitore della musica microtonale, e con l’apporto ritmico del bassista di origine greca Panagiotis Andreou (Now vs. Now, Mulatu Astatke) e del batterista Sean Wright (Musiq Soulchild, Taeyang).
Due fronti strutturali e culturali sono alla base di “Georgian Microjamz” e dell’insolita commistione di jazz, elettronica e musica etnica. Da un lato l’utilizzo di un MIDI 2.0, protocollo per la riproduzione e programmazione di musica su computer, sintetizzatori e dispositivi elettronici che ha espanso notevolmente le potenzialità del già noto MIDI 1.0. con modifiche che consentono un approccio al digitale più simile all’analogico, con toni e gamme affini a quelle degli strumenti acustici e infinite possibilità di destrutturazione del suono. Sull’altro versante, l’elemento-chiave è una delle prime tradizioni polifoniche del mondo, ovvero la musica folk tradizionale georgiana, poco nota anche ai cultori di world music e che in “Georgian Microjamz” è affidata alla presenza del coro georgiano Ensemble Basiani.
Sono solo tre i canti tradizionali assorbiti nel peculiare jazz microtonale di Giorgi Mikadze, ovvero le dolenti e minimali “Mirangula (Interlude)” e “Gurian Lullaby (Interlude)” e l’affascinante brano corale “Lazhghvash”, uno dei momenti più intensi e magici dell’album, graziato dalla presenza dell’Ensemble Basiani.
La musica popolare georgiana è comunque alla base di molte intuizioni del disco, a partire dalla profonda spiritualità del canto a più voci di “Metivuri (Prelude)”, fino alla struggente performance della cantante nonché etnomusicologa Nana Valishvili, alla cui voce è affidato il lamento funebre per le vittime del conflitto militare del 2008 tra Russia e Georgia, scandito da una melodia alla Robert Wyatt e da aspri riff chitarristici che si evolvono verso un atonale psych-rock.
Le restanti tracce sono caratterizzate da un’atipica fusion jazz, quella che incornicia le fughe strumentali di “Dumba Damba”, la sofisticata trama jazz-rock di “Elesa” e l’esotico e trasversale jazz-blues di “Kartlos Blues”.
Album non facile e anomalo, “Georgian Microjamz” è un altro piacevole incidente per i cultori delle moderne metamorfosi della musica jazz, reso particolarmente affascinante e interessante dal singolare connubio tra tradizione e innovazione tecnologica.
22/12/2020