Nero di Marte

Immoto

2020 (Season Of Mist)
post-metal, prog-metal

Non sottratto
Ma immoto
Solo spazio immoto

Nati nel 2012 a Bologna, sono subito notati dalla statunitense Prosthetic Records, che li mette sotto contratto per "Nero di Marte" ('13). Li nota Luc Lemay dei Gorguts, che li vuole con lui nel tour nordamericano: inizia così un'attività dal vivo che li vede accanto a band di grande caratura come Godflesh, Cynic, Decapitated, Ulcerate. Inizialmente, la loro vicinanza al death-metal tecnico e progressivo li rende all'altezza del meglio della scena internazionale, anche se attira l'attenzione soprattutto la saltuaria distensione in un tormentato post-metal da Neurosis e Cult Of Luna. Su "Derivae" ('14) usano anche l'italiano e richiamano Mastodon e Gojira, facendo intuire una crescita destinata a dare i suoi frutti in un eventuale terzo album. Nel 2016 girano l'Europa in tour, ma il nuovo lavoro in studio tarda ad arrivare. L'incredibile batterista Marco Bolognini abbandona a fine anno, sostituito da Giulio Galati: solo nel 2019 riescono a rientrare in studio e nel 2020 finalmente possiamo ascoltare questo "Immoto".

Decisamente più prog-metal che in passato, e persino prog-rock, è un album in cui la componente atmosferica divide la scena con il loro tormentato death-metal tecnico. L'inizio è uno dei più ambiziosi che la scena italiana possa vantare: "Sisyphos" (11 minuti e mezzo) rantola guidata dall'ugola di Sean Worrell per oltre tre minuti prima di esplodere, contorcendosi in una danza asimmetrica che sfocia in mitragliate ritmiche e dissonanze assordanti. Al settimo minuto un doom spaziale lancia la rincorsa per un secondo assalto, prima che una lunga coda sussurrata spenga ogni vitalità fino a inquietanti dettagli minimalisti e cacofonici.

Dettagli gotici animano "L'arca" (9 minuti), impastata in uno sludge che, curiosamente, si sviluppa in un ansiogeno post-metal progressivo dalle aperture cosmiche. A questo punto dell'ascolto, è chiaro che i bolognesi hanno dato una svolta alla loro musica, ma nulla che possa preparare a "Immoto" e i suoi 13 minuti: Worrell sussurra, la chitarra rintocca mesta e desolante, le percussioni intorbidiscono l'aria e un ruggito prog-rock suggerisce un'esplosione che non arriva; il brano si ripiega su se stesso, vaga in un disorientante vuoto, poi disarticolato confluisce in uno sludge destrutturato, che riconduce al sussurro e praticamente al silenzio prima di un climax finale di spaventosa intensità drammatica, fra death-metal e jazz. Quest'anima atmosferica domina la successiva "Semicerchi", schiantata nel gorgo psichedelico del sesto minuto, ma si riconferma territorio fertile per composizioni estese in "La casa del diavolo", un sulfureo impasto di psichedelia, death-metal e sludge che si squarcia al centro in uno spettrale affresco noir e onirico. Proprio questa inedita capacità di congelare il tempo in frangenti dal sapore cosmico, spesso al limitare di un inquieto silenzio, permette a "Irradia" (10 minuti) di non suonare superflua, dopo oltre 50 minuti di visioni musicali.
Chiude "La fuga", che racchiude in formato breve i nuovi Nero di Marte, ai quali comunque giova di più il formato esteso.

Nell'affollato e spesso sterile contesto post-metal e death-metal, questi bolognesi trovano una via di fuga galattica, noir e tensiogena che supera le iniziali prove, ottimi esempi di un più canonico, labirintico, estremismo. Il contrasto fra le lunghe discese verso il silenzio e le fiammate metalliche, l'eclettismo canoro di uno Sean Worrell in stato di grazia, l'apporto ritmico instancabilmente vario del nuovo arrivato Giulio Galati e la flessibilità del bassista Andrea Burgio e Francesco D'Adamo consentono a "Immoto" di tentare una traiettoria personale. Persino l'imponente durata, un totale di 67 minuti, è giustificata dalla loro velenosa, nerissima creatività.

15/02/2020

Tracklist

  1. Sisyphos
  2. L'Arca
  3. Immoto
  4. Semicerchi
  5. La Casa del Diavolo
  6. Irradia
  7. La Fuga


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