La psichedelia dell’arancione (Oranssi) e l’oscurità di un demone babilonese (Pazuzu). Questi finlandesi sono ibridi sia nella musica che nel nome, ma dopo quattro album e alcuni Ep di valore, è anche difficile rimanere stupiti davanti alla loro proposta.
“Mestarin Kynsi” esce a distanza di ben quattro anni dal precedente “Värähtelijä”, eppure in casa Oranssi Pazuzu sono accadute molte cose: prima di tutto, un’ambiziosa ma riuscita collaborazione insieme ai Dark Buddha Rising, rilasciata nel 2019 a nome Waste Of Space Orchestra. In secondo luogo, il passaggio dalla Svart Records alla potente Nuclear Blast, con il timore (almeno da parte nostra) di una semplificazione del sound in modo tale da non spaventare quel pubblico poco propenso alla contaminazione in ambito metal. Per fortuna, non è accaduto nulla di tutto questo, non a caso la band in esame può contare su moltissimi ammiratori al di là di una fanbase più ortodossa, merito proprio di un approccio capace di destrutturare gli stereotipi del black metal in favore di un trip spaziale degno di altre epoche (tra le principali influenze del gruppo finlandese, annoveriamo palate di kraut-rock e psych/space rock di vecchia data).
“Ilmestys” apre le danze nel modo migliore, con il rantolo malefico di Jun-His che penetra dentro un tessuto musicale a suo modo inquietante, come se nel buio si manifestasse un diavolo sotto acido. Una partenza eccellente, prima del viaggio cosmico della successiva “Tyhjyyden Sakramentti”, illuminata da una spinta progressiva che la trasforma in una sorta di improvvisazione in studio, tra sintetizzatori impazziti e chitarre malsane tramortite dagli effetti.
Rispetto al passato, la dilatazione del suono è ancora più accentuata: “Mestarin Kynsi” sembra infatti l’ultimo segnale di un’astronave ormai alla deriva in qualche galassia. La surreale “Uusi Teknokratia” (molto particolare il videoclip di taglio espressionista) conferma queste sensazioni, perdendosi dentro un caleidoscopio di cupe dissonanze che diventano sempre più martellanti e ossessive.
Il giro di boa è stato appena compiuto e possiamo ritenerci più che soddisfatti di questo nuovo album, anche se le perle non si esauriscono di certo qui: se “Oikeamielisten Sali” è forse l’unico passaggio umano presente nel disco (nulla di fondamentale rispetto alle altre composizioni), i cinque finnici tornano a fare sul serio con “Kuulen Ääniä Maan Alta”, un pezzo molto terreno, segnato da una malignità di fondo a tratti elettrizzante, soprattutto nella nevrotica sezione ritmica. La chiusura del cerchio è affidata a una song ancora più sperimentale, “Taivaan Portti”, un vento solare che si propaga per mezzo di un inafferrabile rumorismo noise.
Gli Oranssi Pazuzu non solo dimostrano ancora una volta di possedere un’identità ben definita sia all’interno che al di fuori di una determinata scena musicale, ma ci permettono di capire quanto sia importante, soprattutto durante questo periodo storico, il coraggio di andare oltre. “Mestarin Kynsi” si rivela dunque uno dei loro migliori album, un rancido e nero contenitore di orribili incubi lisergici.
20/04/2020