David Lance Callahan lo aveva promesso nell'intervista che ci aveva gentilmente concesso: "English Primitive II è finito e in produzione e sarà allo stesso tempo molto diverso e molto simile". A distanza di un anno dalla pubblicazione del primo volume, l'ex-Moonshake e attuale membro dei riformati The Wolfhounds ha mantenuto la promessa tornando a far sentire la propria voce con "English Primitive II", un disco più rumoroso e più psichedelico del fratello maggiore, ma che mantiene la stessa gamma eclettica di input.
Anche se l'autore è costantemente combattuto tra il mistico e il concreto nella stesura dei testi, la sua visione sociale (teoricamente malinconica ma ottimista), scivola sul preoccupante stato attuale del Regno Unito (e del mondo) che sembra essere tornato a quell'antico ordine sociale formato da una casta apparentemente intoccabile di ricchi e potenti e da una completa mancanza di libertà per chiunque lavori per vivere. Per completare un quadro a tinte scure si aggiunge la mancanza di una stampa libera e quella Brexit che, dopo essere stata spinta da un'opinione pubblica prezzolata, ha finito nel non tradurre in realtà ogni promessa fatta, come era prevedibile. Questo nuovo lavoro comprende secondo il suo autore le "canzoni dell'esperienza" affrontando temi lirici come lo squallore e la corruzione dei potenti e dei loro vassalli, e le vessazioni inflitte nei modi più disparati ai più deboli.
Trattandosi delle stesse session, era naturale che i musicisti ad accompagnare Callahan fossero gli stessi del primo volume: il sodale batterista Daren Garratt (Pram, The Fall, The Nightingales), il polistrumentista (e produttore) Rory Attwell e il quartetto d’archi Iskra Strings. Oltre a loro, il disco presenta di nuovo la fusione (vincente) tra la voce dell’autore e quella di Katherine Mountain Whitaker (dei misconosciuti Evans The Death), di cui Callahan di fida così ciecamente da affidarle la completa conduzione della ballata pastorale "The Burnet Rose". Il brano prende il nome dal fiore selvatico preferito dell'autore che ricopre ancora oggi le tombe delle vittime di un villaggio di appestati del XVII secolo sull'orlo di una scogliera dello Yorkshire, commemorando un sacrificio ormai dimenticato.
Si comincia con i ritmi primitivi di "Invisible Man" dove le lamentele represse di un uomo comune che ribolle di risentimento, invisibile ma in bella vista, vengono messe in pubblica piazza mentre l'incrocio tra chitarra fuzz e tabla (e tra le due voci) crea una visione intricata e spettrale che si sfoga in un riff liberatorio. La seguente "Beautiful Laundrette" prende spunto dalla sceneggiatura di Hanif Kureishi portata sul grande schermo da Stephen Frears per parlare in tono affilato della squallida attività di riciclaggio dei guadagni illeciti e dei proventi del crimine che vede Londra come epicentro.
Non c'è posto migliore della nostra capitale per rendere i vostri beni candidi e scintillanti. Avete qualche miliardo in più da lavare dopo il crollo del vostro governo? Avete bisogno di pulire i vostri dollari di cocaina e di trasformarli in bei biglietti da 20? Avete bisogno di saltare dalla cima della piramide di Ponzi con qualche sacco pieno dell'oro del drago? Il nostro servizio di lavaggio farà tornare tutto come nuovo. Dopotutto, abbiamo una reputazione da difendere
Il rotolante blues psichedelico della lunga "The Parrot" indugia su chi ha il compito di pattugliare i confini di ciò che è permesso dire e credere con lo scopo di assicurarsi che gli uomini di potere mantengano la propria autorità in tutto e per tutto. Un'accusa nemmeno troppo velata ai giornalisti politici, visti come i cortigiani del nostro tempo, in passato spesso ridicolizzati come pappagalli, i quali, come alcuni secoli fa, hanno il compito di trasmettere ciò che i potenti vogliono farci credere.
Callahan rallenta con maestria i ritmi insieme alla splendida voce di Anja Büchele (che ricordiamo nel secondo disco dei Bark Psychosis) nella rilassata "The Scapegoat" (la cui idea di parlare di impiegati a basso salario dalle grandi aziende usati come capro espiatorio per il pubblico che si lamenta proviene dal ciclo di Malaussène di Daniel Pennac) prima che il quartetto d’archi Iskra Strings introduca uno dei momenti più intimi e drammatici dell'album. Nella struggente "Bear Factory", infatti, la voce e la chitarra di Callahan tornano indietro nel tempo per narrare la vera storia dell'omicidio di uno dei suoi compagni di scuola elementare.
Sono invece gli splendidi ritmi di Darren Garrat a introdurre la rotolante e sincera "Orgy Of The Ancients", dove Callahan descrive l'intima (e orribile) complessità della collaborazione tra i nostri media e la vecchia classe dirigente, immaginando il palazzo di Caligola spostato nel 21° secolo. Per il gran finale, il cantautore guarda a un suo ammirato predecessore, ambientando i versi di "London" di William Blake in una "London By Blakelight" stratificata, oppressiva e quasi senza speranza. Il tutto sottolineato da un cadenzato ritmo di batteria e da una chitarra che mischia psichedelia, blues e influenze africane come in passato i suoi Moonshake avevano unito con successo poliritmie rotolanti, suoni propulsivi, elettronica, dub, art rock e kraut-rock.
La visione di Blake di una capitale assediata dalla corruzione dei potenti e da restrizioni sempre più rigide alla libertà trova molti echi in ciò che sta accadendo oggi, 228 anni dopo la prima pubblicazione del poema. Mi sembra che la sua visione così pungente sia in linea con i temi che uso nel resto dell'album
La seconda parte di "English Primitive" non delude le attese, mostrando un autore sempre più maturo e poliedrico, capace di mettere in musica racconti di vita vissuta e la visione di una società britannica in cui i meccanismi di assimilazione culturale e di sistema politico non sono propriamente oliati a dovere. La corruzione imperante, la brutalità intenzionale e non intenzionale inflitta ai più deboli e i modi talvolta perversi in cui ciò avviene vengono spiattellati con crudo realismo in otto racconti straordinari.
In conclusione, "English Primitive II" è un album profondamente soddisfacente a tutti i livelli. La musica è creativa, suggestiva ed emozionante, con una qualità di scrittura dei testi tale che il libretto di accompagnamento, con le illustrazioni di David Janes, varrebbe la pena di essere acquistato anche da solo. Una visione intricata e spettrale, sottolineata ancora una volta dalla splendida copertina, riproduzione (come nel primo volume) di un lavoro di vetro colorato dell'artista Pinkie Maclure (metà dei Pumajaw) capace di riflettere perfettamente l'oscurità e la luce delle canzoni.
18/12/2022